di Renato Venturelli.
A Cannes, l’ultimo film di Michel Hazanavicius è stato unanimemente massacrato, riunendo in un unico schieramento 1) chi è rimasto deluso perché aveva amato “The Artist”, 2) chi ha da sempre considerato sopravvalutati sia “The Artist” che il suo regista, 3) chi semplicemente trova “The Search” un brutto film. E tuttavia, nonostante l’ineccepibile bocciatura, c’è forse un motivo per tornarci sopra.
Hazanavicius vi affronta la seconda guerra di Cecenia attraverso due storie parallele. Da una parte quella di un’attivista francese dei diritti umani (Bérénice Bejo), che prende presso di sé un bambino ceceno scappato da casa dopo l’eccidio della sua famiglia. Dall’altra parte, c’è la storia di un ragazzo che viene costretto a entrare nell’esercito russo, vive tutte le varie fasi d’iniziazione e alla fine si ritrova trasformato in un “vero soldato” pronto a uccidere.
La prima vicenda è ispirata a “Odissea tragica” (1948) di Fred Zinnemann, e si risolve in una serie di scene ad effetto, pistolotti retorici, lacrime sul viso, lungaggini oratorie, e tutto un repertorio che qualcuno ha scambiato per voglia di melodramma mentre è solo l’impiego puramente strumentale di una vicenda patetica.
La vicenda potenzialmente più interessante era invece l’altra, quella della formazione del soldato, dove un giovane sorpreso a farsi una canna per strada finisce risucchiato in un ingranaggio destinato a stritolarne la personalità. Ma Hazanavicius avrebbe dovuto aver voglia di raccontarcela, spogliandosi di ogni manicheismo per entrare all’interno dei personaggi e dei loro punti di vista.
Hazanavicius invece non è interessato a raccontare. Lui stesso dice di essere partito dalle posizioni anti-russe di André Glucksman e di essersi ispirato a “Odissea tragica” perché voleva una storia di forte effetto emotivo per catturare l’opinione pubblica, mentre trovava troppo limitato il coinvolgimento dello spettatore da parte dei semplici documentari.
Il risultato è così un film grevemente ideologico, dove ogni elemento narrativo e ogni soluzione visiva vengono messi al servizio di un antico cinema di propaganda. Sarebbe inutile parlarne se “The Search” non arrivasse nelle sale subito dopo le discussioni su “American Sniper”. Basta un semplice confronto per vedere una contrapposizione esemplare. Da una parte l’opera di un grande narratore come Clint Eastwood che sa raccontarci un personaggio tra complessità e contraddizioni che riguardano sia la storia sia la natura umana. Dall’altra parte, il film di Hazanevicius che è invece il manifesto del modo in cui la narrazione può ritrovarsi schiacciata dall’invadenza dell’aspetto puramente ideologico. Naturalmente, molti in Italia hanno trovato propagandistico il film di Eastwood (che non lo è e non intende esserlo), mentre nessuno ha reagito davanti a quello di Hazanavicius: forse perché “The Search” propagandistico lo è davvero, e intenzionalmente.
(renato venturelli)