di Renato Venturelli.
Lo si ricorda per un paio di Totò anomali, come Destinazione Piovarolo e Il coraggio, per un pugno di musicarelli e un po’ di peplum. E magari lo si ricorda a causa di quegli articoli a carattere antisemita che alla fine degli anni ’30 pubblicò su “La difesa della razza” e altre testate, ma che non gli avevano poi precluso nel dopoguerra una carriera sostanzialmente tranquilla. Domenico Paolella è stato però una presenza complessa e per certi versi sfuggente nel cinema italiano: e arriva adesso a tentare un approfondimento con nuove informazioni e nuove riflessioni il volume “Il cinema di Domenico Paolella”, curato da Alfonso Marrese per la collana “Teca” delle Edizioni dal Sud (Bari 2014, pp.207, sip).
Nato a Foggia nel 1915, cresciuto poi con la famiglia a Napoli, Paolella era una delle grandi promesse dei Cineguf anni ’30, aveva vinto i Littoriali, era stato inserito tra gli aiuto registi di Gallone per “Scipione l’Africano”, aveva scritto un libro sul “cinema sperimentale” ed era partito armato di cinepresa per filmare la campagna di Russia. Sulle sue posizioni politiche ci sarebbe ovviamente molto da scavare, visto che appena finisce la guerra è poi pronto a realizzare nel 1947 un film celebrativo sulla Resistenza e subito dopo anche un “Thanks America!” in cui rende omaggio agli Stati Uniti.
La prima fase della sua carriera vera e propria resta comunque quella che si svolse alla “Settimana Incom”, dove tra il 1946 e il 1951 dice di aver realizzato circa seicento numeri del cinegiornale, abbandonandolo proprio alla vigilia dell’avvento della televisione che l’avrebbe rapidamente svuotato della sua importanza. Da quel momento, comincia la carriera di regista che tutti conosciamo, con le pellicole a sketch e i musicarelli anni ’50 realizzati per Carlo Infascelli, e con l’accoppiata Destinazione Piovarolo e Il coraggio in cui Totò cerca di dare una svolta alla propria carriera attraverso commedie narrativamente più articolate, ma viene inesorabilmente bocciato dal pubblico.
I film successivi di Paolella partecipano poi del momento felice di un debordante cinema italiano popolare e di genere: aveva proseguito nel solco del cinema musicale con il curioso I teddy boys della canzone, ma era stato soprattutto uno dei protagonisti della stagione del cinema avventuroso e dei peplum, compiendo poi incursioni anche nel western, nel’erotico, nel poliziottesco (La polizia è sconfitta), fino a Gardenia, il giustiziere della mala con Franco Califano…
La sua carriera termina in modo significativo nel 1979, cioè alla fine di quel decennio che chiuse tutta una tradizione del cinema di genere, e non solo in Italia, ma quando in fondo Paolella aveva solo poco più di sessant’anni. Il volume curato da Marrese affronta vari aspetti della sua personalità: il suo tortuoso rapporto con la storia, la militanza anti-neorealista (ma è significativa anche la sua estraneità alla linea che va dal Marc’Aurelio alla commedia all’italiana), la sua declinazione dei vari generi, da Totò al musicarello, dai forzuti al filone erotico-conventuale, senza trascurare la sua abbondante attività di scrittore o indagare sulle caratteristiche dei manifesti dei suoi film. Le domande sono molte: come si rapportano le sue ambizioni pre-belliche con la più anonima carriera del dopoguerra? quale fu la sua reale evoluzione politica e quanto pesarono le sue posizioni precedenti? come si colloca nell’ambito dei cosiddetti “artigiani” tra gli anni ’50 e ’70? Steve Della Casa ricorda che soprattutto “Paolella amava l’azione e l’avventura…”, Anton Giulio Mancino insinua: “inutile fingere di non accorgersi che ogni testo che l’autore ci consegna in questo mare magno cinematografico, giornalistico, letterario e teatrale, corrisponde a una mossa su uno scacchiere di cui ci sfugge tuttavia l’ampiezza e la portata politica”.
Tra i molti buchi neri che permangono nella carriera di Paolella, ce n’è però uno particolare che il libro ricorda: quello di Allocco fra gli angeli, il film “maledetto” del 1960 con Joe Sentieri, Piero Soffici, Giorgio Gaber e tanti altri. Dopo l’anteprima milanese, il film sparì nel nulla: si dice fosse stato travolto dall’aver puntato sullo “scandaloso” transessuale francese Madame Coccinelle, e su Ghigo Angeli che a Coccinelle aveva appunto dedicato un famoso rock ‘n roll all’italiana.
(di Renato Venturelli)