di Renato Venturelli.
Le strade del rinnovamento noir sono infinite, e lo conferma questo bel film diretto a Brooklyn dal belga Mikael Roskam, alla sua seconda regia dopo “Bullhead”: un autore che dice di amare molto il noir americano degli anni ’40 e di volersi porre nel solco degli europei che lo avevano frequentato, ma che resta rigorosamente estraneo a qualsiasi poetica neo-noir basata su omaggi e citazionismi.
Il suo è innanzitutto un film di personaggi, e di rapporto con l’ambiente. Una prima sequenza ci introduce molto classicamente nella Brooklyn dei traffici clandestini, dei soldi che passano continuamente di mano, dei locali ambigui in cui si effettuano le raccolte dei guadagni illeciti. E uno di questi bar dall’aspetto sempre profondamente notturno è gestito da due personaggi apparentemente estranei a una dimensione malavitosa, ma di cui a poco a poco impariamo a conoscere passato, misteri e doppiezze.
Uno è il Cousin Marv di James Gandolfini, che un tempo era stato proprietario del locale e adesso deve gestirlo agli ordini della mafia cecena, costretto a subirne le prepotenze, ma sotto sotto tutt’altro che rassegnato ad accettarle. E l’altro è il Bob di Tom Hardy, che vorrebbe essere solo un barista, ma che a poco a poco rivela di essere anche lui qualcosa di molto diverso e soprattutto di più complesso. Frequenta la chiesa di quartiere, che sta per essere chiusa in nome di una speculazione immobiliare e accorpata a un’altra parrocchia. E una sera, rientrando a casa, trova anche un piccolo pitbull nella spazzatura, lo prende con sé, lo alleva nella dolcezza, lo usa per approfondire il rapporto con una ex-tossica della zona (Noomi Rapace). Ma questa sua esistenza apparentemente mite, alla larga dai guai, viene prima o poi sopraffatta dall’assedio dell’ambiente in cui vive, e dal passato che trova la maniera di riaffiorare nel presente: soggetto e sceneggiatura sono del resto del Dennis Lehane di “Mystic River”.
“The Drop” ha così l’aspetto di un piccolo noir di quartiere, attaccato ai suoi personaggi e ai loro continui slittamenti: dove la morale viene sistematicamente rimessa in discussione dagli eventi, dove il passato non può mai considerarsi sepolto, dove le persone mantengono sempre una loro inafferrabile ambiguità. E dove il confine tra innocenza e colpevolezza deve continuamente essere ridefinito.
Questa rilettura del noir ha ricordato a qualcuno quella di un James Gray, al punto che il titolo francese (“Quand vient la nuit”) può rievocare vagamente quello di “I padroni della notte”. Con dialoghi che hanno spesso la tagliente amarezza della scrittura hardboiled, e un orizzonte che resta fino in fondo delimitato da luci e atmosfere sempre un po’ soffocanti. Pedinando il suo protagonista Bob, “The Drop” è un film che guarda a un nero interno alle persone e alla società su cui non è mai possibile fare davvero luce: e dove, sottolinea Roskam, “niente viene affermato attraverso il dialogo, ma tutto viene detto tra le righe”. Al TFF, nella sezione “Festa mobile”: uscita prevista in Italia nel prossimo marzo, col titolo (fiacchino) “Chi è senza colpa”.
(renato venturelli)