di Juri Saitta.
Cameron ha un disturbo bipolare che lo conduce a forti momenti di crisi nei quali non riesce a controllare le sue azioni, motivo per il quale sarà ricoverato per un po’ di tempo in una clinica. Il protagonista ha inoltre una moglie e due figlie con cui vive a Boston.
Quando la coniuge ottiene una borsa di studio a New York, Cameron dovrà occuparsi da solo delle bambine, in quanto il denaro non è sufficiente per far trasferire tutta la famiglia nella Grande Mela.
Con Infinitely Polar Bear la regista Maya Forbes racconta un importante episodio della propria infanzia per realizzare un’opera di formazione, in cui i vari personaggi cambiano se stessi e, in parte, il loro rapporto con il prossimo. Infatti, se da un lato il protagonista si assumerà le proprie responsabilità e migliorerà come uomo e padre, le figlie riusciranno gradualmente ad accettare le sue stramberie e abituarsi, con qualche riluttanza, al suo egocentrismo, alla sua straripante vitalità e alla sua quasi totale mancanza di diplomazia.
Ed è in questo modo che il film interpella la capacità dei singoli di comprendere l’altro ma anche di distaccarsene nei momenti più giusti e necessari, come dimostrano il trasferimento della madre e l’episodio finale del parco.
L’autrice narra tutto ciò con toni agrodolci, alternando continuamente dramma e commedia, sentimentalismo e cinismo, confezionando così un’opera a tratti ammiccante ma complessivamente riuscita e non superficiale.
Nonostante il soggetto possa comportare una certa dose di patetismo e buonismo, il film riesce (quasi) sempre a evitare entrambi, grazie a uno sguardo al tempo stesso empatico e distante: la Forbes coniuga spesso drammaticità e ironia, affetto e sarcasmo, riuscendo a mantenere un equilibrio non scontato tra toni differenti e quasi opposti.
Se l’aspetto umoristico è rappresentato in primis da una sceneggiatura dai dialoghi brillanti e quello intimo viene indicato anche e soprattutto dai finti filmati familiari in super 8 (che dimostrano quanto la storia raccontata sia personale), il “matrimonio” tra distacco e vicinanza è dovuto a un ritmo narrativo serrato ma non frenetico, incalzante ma con i giusti momenti di pausa.
Il tutto è inoltre impreziosito da una buona ricostruzione storica degli anni ‘70, realizzata in modo notevole e suggestivo sia nelle scenografie sia nei costumi.
Ma il risultato complessivo sarebbe stato assai inferiore se non ci fosse stata l’interpretazione di Mark Ruffalo, che con la sua performance sopra le righe ma non gigionesca regge buona parte dell’opera trasmettendo in modo talvolta umoristico le ire, le crisi e gli entusiasmi del protagonista.
Dunque, ci troviamo di fronte a un film personale, ma senza eccessive pretese autoriali, che, nonostante furbizie e ammiccamenti, funziona alla perfezione. Infinitely Polar Bear è, quindi, un tipico prodotto medio.
(di Juri Saitta)