di Renato Venturelli.
Sarà perché ha un aspetto poco autoriale e ancor meno teorico, sarà perché può essere banalmente scambiato per un film su media e giornalismo d’assalto, ma questo “Sciacallo” con Jake Gyllenhaal ha avuto un’accoglienza incredibilmente distratta o apertamente scettica e scostante, nonostante sia uno dei film più riusciti di questa prima parte di stagione.
Gyllenhaal vi interpreta un marginale dal carattere ossessivo, un disoccupato pronto a tutto pur di campare, che scopre una notte come sia possibile far soldi filmando fatti di sangue per le strade e rivendendoli poi alle tv assetate di immagini sensazionaliste.
Per un po’, il suo reporter da strada sembra una riproduzione del grande Weegee aggiornata coi tempi nuovi: s’inserisce nella radio della polizia, arriva per primo sui luoghi di delitti e incidenti, “aggiusta” i cadaveri per riprenderli meglio, monta i suoi servizi nel bagagliaio dell’auto così come Weegee vi sviluppava le sue foto. Ma ben presto non si accontenta di battere tutti sul tempo nel filmare l’orrore, per “costruire” fatti di sangue da riprendere con filmati shock. E soprattutto teorizza continuamente ciò che sta facendo, sotto forma di lezioni da impartire al suo aiutante.
In questo modo, “Lo sciacallo” si allinea a quella stratificazione a più livelli che caratterizza da sempre il cinema di genere americano. Ad un primo livello è un film sul cinismo dei media e sui meccanismi dell’informazione. Ma è anche il ritratto di un individuo solitario e allucinato, è l’incarnazione di una società completamente alla deriva, è l’esempio di un cinema che ama teorizzare su se stesso in una forma di scissione ossessiva più che di autentica prospettiva teorica o di semplice astuzia indie.
La sua forza sta poi nell’interpretazione debordante e sempre un po’ autocompiaciuta di Jake Gyllenhaal, ma anche nel modo in cui resta asciuttamente al servizio del personaggio, senza volercelo spiegare troppo, lasciandolo definire attraverso le sue azioni, il suo comportamento, le sue teorizzazioni deliranti che sembrano voler veicolare un facile moralismo ma servono soprattutto a far vivere un personaggio.
Fra tanti film che prima o poi rovinano tutto cercando di darci motivazioni psicologiche, “Lo sciacallo” ha il pregio di lasciare il suo protagonista sempre un po’ sospeso, senza un vero passato, presente solo nel momento in cui straparla e agisce. Tra l’estetica da B-movie notturno d’altri tempi e una costruzione da pilot di serie tv: sicuramente da segnalare.