di Brian 77.
Charlot soldato (1918)
di e con Charlie Chaplin
La prima guerra mondiale non era ancora terminata che Chaplin già realizzava un film su Charlot soldato, vale a dire la tragedia della storia raccontata dal punto di vista di una delle sue umili vittime. Alla fine tutte le avventure vissute da Charlot al fronte si riveleranno un sogno: la parte migliore spetta comunque alle scene di vita di trincea, in un trionfo di gag, invenzioni e semplice umanità. Film di insolita ampiezza ed ambizione per un’opera a carattere comico: concepito addirittura in cinque bobine, realizzato in tre, ebbe grande successo sia presso il pubblico popolare sia presso gli ambienti intellettuali.
La grande parata (1925)
di King Vidor, con John Gilbert
Un giovane gentiluomo americano si arruola volontario nella scia dell’entusiasmo generale: inviato sul fronte francese, imparerà sulla propria pelle cosa significa uccidere altri uomini, essere feriti, veder morire i propri compagni. Non un film di retorica pacifista, ma una durissima storia di formazione attraverso la mostruosità della guerra: capolavoro del cinema muto, che ottenne a suo tempo un successo strepitoso.
All’Ovest niente di nuovo (1930)
di Lewis Milestone, con Lew Ayres
Dal romanzo di Erich Maria Remarque, gli orrori della guerra di trincea raccontata dal punto di vista di soldati tedeschi. Un grande film pacifista che fece effetto all’epoca e mantiene una sua notevole efficacia ancor oggi: tagliato di quasi un’ora in patria, vietato nell’Italia fascista, con sequenze diventate celebri (la soggettiva della mitragliatrice), è stato poi rifatto in modo più fiacco e televisivo in “Niente di nuovo sul fronte occidentale” (1979) di Delbert Mann.
Westfront (1930)
di Georg W. Pabst, con Gustav Diessl
La prima guerra mondiale raccontata da un grande regista tedesco, attraverso la storia di un soldato che vive le sofferenze della trincea negli ultimi mesi prima della sconfitta e quando poi torna a casa scopre la drammatica condizione della moglie. A suo tempo accusato di eccessi di patetismo, resta però una testimonianza fondamentale, lucida e tesa, senza alcuna concessione al patriottismo: e all’avvento del nazismo venne vietato anche in patria.
Addio alle armi (1932)
di Frank Borzage, con Gary Cooper
Dal libro di Ernest Hemingway, il cui lo scrittore racconta in forma romanzata la sua esperienza sul fronte italiano durante la prima guerra mondiale: col protagonista che viene ferito, finisce in ospedale e lì vive una dolorosa storia d’amore con un’infermiera inglese. Diretto con finezza da un grande regista di melodrammi, vietato nell’Italia fascista, rifatto poi in modo più tronfio negli anni ’50 con Rock Hudson e Jennifer Jones (“Addio alle armi”, 1957, di Charles Vidor).
La croix de bois (1932)
di Raymond Bernard, con Pierre Blanchar, Charles Vanel
Dal libro di Roland Dorgelès, la cronaca implacabile della guerra di trincea vissuta da un gruppo di soldati francesi. Un film per lungo tempo sottovalutato, sempre difeso da Jacques Lourcelles e ultimamente riscoperto, in cui l’esperienza della guerra viene raccontata con “realismo epico”, rifiutando ogni elemento romanzesco e qualsiasi enfasi patetica. Girato in esterni reali, nei luoghi stessi in cui si svolge l’azione, spesso con comparse che erano autentici ex-combattenti.
La grande illusione (1937)
di Jean Renoir, con Jean Gabin, Erich von Stroheim
La prima guerra mondiale secondo Jean Renoir, che riportò nel film anche esperienze personali: al centro, la vita dei prigionieri francesi sotto un ufficiale tedesco all’antica, interpretato dal grande regista del muto Erich von Stroheim. Un capolavoro assoluto, che riflette tra le altre cose sulla fine di un mondo aristocratico e il vero e proprio inizio del Novecento: non solo un film pacifista, ma un film complesso e profondo, vincitore di un premio alla Mostra di Venezia tra le ire del governo fascista. Uscito nelle sale in versione in vario modo sempre censurata, fu recuperato nella sua versione integrale proprio a partire da una copia che era stata nascosta dai nazisti e scoperta dai sovietici alla liberazione di Berlino nel 1945.
Il sergente York (1941)
di Howard Hawks, con Gary Cooper
Un contadino americano è un infallibile tiratore, ma rifiuta la violenza per convinzioni religiose: durante la prima guerra mondiale si comporterà da eroe. Il personaggio di Alvin York è autentico, e il film viene realizzato con intenti chiaramente propagandistici all’inizio della seconda guerra mondiale: ma la regia di Hawks ha la consueta sobria efficacia e l’interpretazione di Gary Cooper perfetta per un personaggio al tempo stesso ingenuo ed eroico, alle prese con problemi che non riesce a comprendere.
Orizzonti di gloria (1957)
di Stanley Kubrick, con Kirk Douglas, Adolphe Menjou
Durante la prima guerra mondiale, un generale ordina un’azione catastrofica e poi pretende tre condanne a morte per mascherarne il fallimento: un ufficiale cercherà di difendere i tre innocenti e salvar loro la vita. Grande film sui rapporti feroci di potere e di classe che stanno all’origine delle follie della guerra: realizzato grazie alle pressioni di Kirk Douglas, che sostiene anche di aver costretto Kubrick ad evitare versioni più edulcorate. Uscito in Francia solo nel 1975, quasi vent’anni dopo: da un romanzo di Humphrey Cobb
La grande guerra (1959)
di Mario Monicelli, con Alberto Sordi, Vittorio Gassman
La prima guerra mondiale e i suoi orrori raccontati secondo un capolavoro della commedia all’italiana, in un’epoca in cui vigeva ancora sull’argomento la retorica patriottica: al centro, una mescolanza di toni drammatici e brillanti, di piccoli personaggi della vita quotidiana e di grandi scenari epocali, di aneddoti divertenti e di improvvisi tocchi tragici. Monicelli voleva realizzarlo come un affresco senza protagonisti, ma la vicenda è poi imperniata sul milanese Gassman e il romano Sordi: fino al celebre epilogo capace di unire vigliaccheria ed eroismo. Leone d’oro a Venezia.
Per il re e per la patria (1964)
di Joseph Losey, con Dirk Bogarde, Tom Courtenay
Un soldato britannico viene processato per diserzione durante la prima guerra mondiale, il suo capitano cerca di salvarlo dalla condanna a morte… Uno dei film più cupi e ossessivi sulla guerra, dall’impianto teatrale, fondato sul rapporto tra i due protagonisti che riecheggia quello di altri film di Losey imperniati sulle relazioni tra padri e figli, servi e padroni: a differenza di altri film bellici, non punta sull’emotività diretta, ma su una costruzione concettuale più complessa, con notevoli risultati. Dalla pièce “Hamp” di John Wilson.
La caduta delle aquile (1966)
di John Guillermin, con George Peppard, James Mason
Un giovane pilota tedesco vuole a tutti i costi ottenere la Blue Max, onorificenza riservata a chi abbia abbattuto un certo numero di nemici: pur di averla è disposto a tutto, ma finirà per pagare la sua ambizione. Affresco spettacolare di un’epoca, che punta su un racconto complesso, sulle differenze di classe e su una visione disincantata dell’eroismo bellico, ma che ha poi le sue sequenze migliori nelle eccellenti scene di volo.
Uomini contro (1971)
di Francesco Rosi, con Gian Maria Volonté
Soldati italiani al fronte durante la prima guerra mondiale: gettati allo sbaraglio, si ritroveranno vittime del folle militarismo dei generali, cominciando a riflettere sugli inganni del militarismo. Ispirato al libro di Emilio Lussu “Un anno sull’altopiano”, il film probabilmente più duro sulla Grande Guerra dal punto di vista italiano, col celebre episodio degli uomini mandati al massacro dentro assurde “corazze”. Tra gli interpreti, il Mark Frechette di “Zabriskie Point”.
Gli anni spezzati (1981)
di Peter Weir, con Mark Lee, Mel Gibson
Due giovani atleti australiani partono per servire Sua Maetà britannica alla prima guerra mondiale: dopo tante peripezie, finiranno a Gallipoli, mandati assurdamente al massacro contro i turchi dagli ufficiali inglesi che li considerano pura carne da cannone. Non solo un film sulla mostruosità della guerra, ma anche un’analisi dei rapporti tra ufficiali inglesi e soldati australiani: da un episodio rimasto famoso, con un Mel Gibson non ancora star.
Capitan Conan (1996)
di Bertrand Tavernier, con Philippe Torreton
Capitan Conan è un semplice merciaio di provincia, che però al fronte si è rivelato un autentico guerriero: impegnato nei Balcani anche al termine del conflitto, si muove con assoluta libertà vitalistica, combatte e uccide, ma entra in crisi quando giunge il momento di tornare alla vita civile. Un personaggio contraddittorio, che si pone al di sopra di ogni morale, ma la cui dimensione quasi eroica è strettamente legata all’urgenza e alle condizioni estreme della guerra: soggetto originale, dal regista di “Colpo di spugna”.
Una lunga domenica di passioni (2004)
di Jean-Pierre Jeunet, con Audrey Toutou
Alla fine della prima guerra mondiale, una ragazza va disperatamente alla ricerca del suo fidanzato, dato ufficialmente per morto durante il conflitto: riuscirà a trovarlo? Al di là di patetismi e orrori di trincea, questo film francese si segnala per il suo stile visivo quasi fumettistico: diretto dal regista di “Il favoloso mondo di Amélie” e interpretato dalla sua stessa protagonista, ne riprende infatti anche il tipo di racconto costruito come successione di vignette, portando ogni situazione o personaggio al massimo della sua espressività grafica.
Joyeux Noel (2005)
di Christian Caron, con Benno Furmann, Guillaume Canet
Alla vigilia di Natale del 1914, soldati francesi, scozzesi e tedeschi si fronteggiano presso una fattoria alsaziana in mezzo a montagne di cadaveri: ma quando scende la notte, i “nemici” dei due fronti si mettono a suonare e cantare insieme, svelando così l’altro volto della guerra, quello della gente comune mandata al massacro dai rispettivi comandi. Tra gli interpreti, anche il Dany Boon di “Giù al Nord”.
War Horse (2011)
di Steven Spielberg, con Peter Mullan
Un puledro cresce libero nel Davon, viene poi addestrato da un ragazzo e quindi ceduto ai militari in partenza per la prima guerra mondiale: attraverserà boschi e fattorie, trincee e filo spinato, si ritroverà coperto di fango a trascinar cannoni in un clima da tregenda… La guerra raccontata dal punto di vista di un cavallo, in un film di grande impatto emotivo che sembra rivolto a un pubblico giovanile ma ripropone in realtà uno dei temi più profondamente personali di Spielberg: quello del bambino strappato alla madre e gettato in mezzo agli orrori del mondo.