di Massimo Lechi.
Primo film francese e prima delusione della Mostra, almeno secondo parte consistente dei giornalisti accreditati. La rançon de la gloire di Xavier Beauvois non ha scaldato i cuori della platea veneziana, accontentandosi di qualche risata durante la proiezione stampa. Avrebbe potuto e dovuto essere la famigerata commedia di metà festival, quella che rialza il morale dopo giorni di fatiche cinefile, prende in contropiede la giuria e strappa premi sull’onda dell’entusiasmo (alla Soul Kitchen di Fatih Akin, per intenderci), ma una collocazione sfavorevole nel secondo giorno di concorso e la complessa natura del film hanno finito col penalizzare oltremodo l’ultimo lavoro di un regista amato da pubblico e critica.
La trama è semplice e si basa molto liberamente su fatti realmente accaduti. In Svizzera, nel 1977, due spiantati arrancano in una società fredda e inospitale. L’algerino Osman (Roschdy Zem) vive spartanamente, ha una bambina sognatrice, una moglie in clinica e un misero lavoro come operaio del comune. I conti per le spese mediche stanno per strangolarlo, e non c’è soluzione a portata di mano. Il belga Eddy (Benoit Poelvoorde), animo da pagliaccio e dita da scassinatore, è appena uscito di galera, e non se la passa certo meglio. Per lui, ormai, c’è solo l’amico Osman – che infatti accetta di accoglierlo, in cambio di lezioni di francese alla figlia. Un giorno, mentre fuori tira vento gelido e i ricchi svizzeri celebrano il Natale, il telegiornale annuncia la morte di Charlie Chaplin e l’avvenuta sepoltura della nobile salma nel cimitero di Vevey. In un lampo, Eddy ha l’idea che cambierà per sempre il corso delle loro esistenze: rubare la bara, chiedere un riscatto alla famiglia, restituire il cadavere, sistemare i conti, rifarsi una vita. Un colpo facilissimo. Un “prestito”. Osman, superati i tentennamenti iniziali (come la mettiamo con Allah?), accetta di seguire l’amico, e il resto è storia.
Beauvois sa fare cinema: la sua carriera lo dimostra. Nord (1991), N’oublie pas que tu vas mourir (1995) e soprattutto Le petit lieutenant (2005) e Uomini di Dio (2010) sono titoli di livello, personalissimi. La rançon de la gloire se ne discosta parzialmente per toni e ritmi, ma il lavoro sugli attori e l’approccio umanista sono gli stessi di sempre, così come il raffinato lavoro sull’immagine (fotografia di Caroline Champetier). Al centro, troviamo l’uomo, con le sue contraddizioni, con le sue difficoltà a rapportarsi con il mondo circostante e a gestire le conseguenze delle proprie scelte. Il tutto, però, raccontato sotto forma di commedia agrodolce, inevitabilmente lontana sia dal taglio nervoso delle prime opere sia dal realismo più crudo sia dalle leziosaggini di tanta commedia francofona contemporanea. Sospeso tra Monicelli e Chaplin stesso, il film vive di piccole iniezioni di cattiveria diluite in un racconto nel quale il patetismo, la dolcezza e il rispetto per la smandrappata coppia di protagonisti contano decisamente più della vicenda in sé – inframezzata peraltro da tutta una serie di digressioni che minano alla base (volutamente?) ogni equilibrio narrativo. Un occhio a I soliti ignoti (1958) e uno al citatissimo Luci della ribalta (1952), Beauvois cerca dunque di bilanciare dramma e comicità, sorriso e lacrimuccia, aiutato dagli ottimi Poelvoorde e Zem, e dalle enfatiche musiche di Michel Legrand, che saturano le immagini, arrivando persino ad annullare i dialoghi. Alla fine, Osman ed Eddy falliscono con il loro disegno criminale, eppure riescono nell’impresa più grande e inaspettata: quella di diventare due antieroi chapliniani, metà vagabondi e metà clown, in balìa degli eventi ma destinati, dopo molte peripezie e duri colpi della vita, a camminare a testa alta verso un futuro migliore e un pubblico pronto ad applaudirli e perdonarli.
Il risultato è un film sbilenco e disomogeneo, sommamente divertente, che non mantiene del tutto quanto promette pur non mancando di momenti cinematograficamente felici (il ballo notturno nella roulotte, le scene di Osman con la moglie e la figlia, l’incontro di Eddy con la romantica padrona del circo interpretata da Chiara Mastroianni). Un film sbagliato, si è scritto. Ma è innegabile che, come disse anni fa un noto critico italiano, ci siano sbagli di talento che valgono più di tante riuscite della mediocrità. La rançon de la gloire è tra questi.