di Renato Venturelli.
“Mo’ mi avete dato la targa, l’anno prossimo speriamo che me date l’automobile…”.
Alvaro Vitali riceve con la sua classica battuta il Premio Città di Loano “Il trash ch’eravamo”, davanti a quasi mille spettatori: tutti uniti nel nome non solo del trash, ma di un cinema popolare che affonda le sue radici nell’antica tradizione della farsa. E che ha avuto in Alvaro Vitali il suo più estremo esponente, nato e cresciuto all’interno del cinema, senza una precedente formazione nella rivista o nell’avanspettacolo.
“A me è sempre piaciuto far ridere, fin dalle elementari passavo il tempo a scherzare, divertire i compagni, raccontare barzellette. E da un certo punto in avanti ho cominciato a inventarmele io le barzellette, perché quelle che ascoltavo non mi bastavano. Anche per questo i film con Pierino sono film molto miei. Quando Girolami mi chiamò la prima volta c’era solo un canovaccio, in cui dovevamo poi mettere le gag a seconda delle situazioni. Ad esempio: mamma, papà e Pierino al ristorante. E giù una serie di battute. Solo che molte scenette non facevano ridere. Allora gli ho detto a Girolami: vieqqua’, che le barzellette giuste le conosco io. Ce ne ho milioni nella testa, fin da quando avevo sei anni che racconto barzellette. E così molte le ho inserite io”.
E il cinema?
“A quello inizialmente non ci pensavo. Certo mi piacevano Sordi, Buzzanca, Franco e Ciccio, ma soprattutto Totò che era il più grande. Poi a diciassette anni mi hanno detto che c’erano dei provini per un film di Fellini. Io facevo l’elettricista a Trastevere, mica recitavo. Però sono andato. Eravamo io e un ragazzo napoletano. Fellini ha detto: chi di voi sa fare il fischio del merlo? Io mi sono messo a fischiare alla campagnola, e Fellini ha detto: sì, quello lo prendiamo che mi sembra il più sveglio”.
Con Fellini sono arrivati i famosi quattro film.
“Sì: ho fatto Satyricon, I clown, Roma, Amarcord. Mi aveva preso a benvolere. Mi diceva: tu hai i tempi comici innati. Io gli rispondevo a dotto’, e che so’ i tempi comici? Tu non ci pensare però li hai dentro, mi diceva. Eravamo rimasti amici, ad ogni nuovo film che faceva mi presentavo il primo giorno delle riprese e gli entravo in campo al primo ciak, così lui s’arrabbiava… era una nostra gag. Ma Fellini mica usava il copione, mai visto col copione in mano. Aveva tutto in testa. Quando cominciavano le riprese, chiedeva Massimino, dove eravamo rimasti? Ah sì, e andava avanti tutto a memoria. E le comparse, ne aveva davanti cinquanta, ma le chiamava per nome e le conosceva una per una, le rispettava tutte”.
E da lì ha cominciato a fare del cinema una professione.
“Fu proprio Fellini a mettermi in contatto con un’agenzia per avere altri lavori, devo molto a lui, anche dal punto di vista della tecnica. Subito con grandi registi: Monicelli, Risi, Polanski. Però fare piccolo ruoli anche se in film importanti mi piaceva meno che fare il protagonista nei miei film. Là dovevi inserirti, fare la tua piccolo parte e stop. Con i miei film da protagonista potevo divertirmi, fare quello che volevo fare io”.
Per dieci anni ha lavorato anche con gli ultimi grandi del teatro di rivista, a cominciare da Mario Carotenuto. Quanto intervenivate sulle sceneggiature? E quanto poi improvvisavate?
“Moltissimo. Innanzitutto, perché molti copioni erano semplici canovacci, o comunque c’erano scene che andavano riscritte, e lo facevo in modo da adattarle meglio al mio personaggio, per sviluppare certe gag, per inserire cose più divertenti. Poi anche sul set si improvvisava molto”.
Ricordo una scena con Carletto Dellepiane professore, Cannavale bidello, Vitali interrogato e Mario Carotenuto preside che chiude la scena con uno scappellotto e un “così!”, che sa tanto di improvvisato…
“Certo, la ricordo perfettamente. Carotenuto aveva improvvisato quella chiusa, ma lui improvvisava molto, aveva esperienza, tempi, e mi ha dato tantissimi consigli. Mi diceva di mettermi sempre con la faccia in piena luce durante le riprese, anche se non ero al centro della scena, per farmi vedere e inquadrare… Con Lino Banfi avevamo formato una gran coppia comica, ma lui a un certo punto non ci volle più stare, diceva che non voleva farmi da spalla. Io gli dicevo che la coppia funziona così, un po’ faccio io la spalla a lui, un po’ la fa lui a me. Ma Banfi volle staccarsi. Io feci Pierino, lui mi pare La moglie in bianco l’amante al pepe. Quando vide gli incassi penso ci sia rimasto male”.
Se è per quello hai battuto in tv anche Dustin Hoffman e Laurence Olivier.
“Me ne sono prese di soddisfazioni… Un weekend uscii contro 007, un filmone. Vinsi io. I giornali titolarono: Pierino batte 007, è Pierino il vero nemico di 007… E in seconda serata, con Pierino contro tutti su Rete4, feci più spettatori di Dustin Hoffman con Il maratoneta su Raiuno…”
E questa recitazione così fisica, basata in ogni senso sulla corporeità?
“A me sono sempre piaciute le comiche mute, i comici che fanno ridere innanzitutto con i movimenti del corpo e le espressioni del viso. Con i bambini si comunica innanzitutto così, è su quello che aderiscono perché li sentono moltissimo. Le battute poi ci sono per gli adulti. Comunque io non ho mai volute fare prove proprio per mantenere la freschezza dei movimenti. Quando si girava e mi dicevano facciamo almeno le prove per le luci… No, rispondevo. Avevo trovato uno che mi somigliava fisicamente, anche come statura, facevano tutte le prove con lui, e poi io giravo di botto, buona la prima. Perché altrimenti diventavano gag meccaniche, si perdeva la freschezza, l’immediatezza. Nella comicità fisica c’è sempre il rischio della meccanicità, il pubblico se ne accorge”.
Con quale regista ti sei trovato meglio?
“Nando Cicero, una persona molto intelligente, con una personalità. D’altronde aveva fatto per anni l’aiuto di Francesco Rosi, e anche di Visconti, se non aveva qualcosa in più mica ci poteva lavorare. E naturalmente aveva anche imparato da quelli. Poi Girolami era bravo, come anche Tarantini che però era un po’ nervoso sul set… Poi certo ho lavorato anche con Monicelli, un grande, un amico, Dino Risi invece era un po’ stronzo”.
Perché finì tutto di colpo, nei primi anni ’80?
“Per colpa dei produttori. Io potevo fare Pierino solo con Medusa, per contratto. E allora produttori avidi fecero dei filmetti su Pierino con altri attori, ma per il pubblico Pierino ero io, così andarono male e dissero eh Pierino non va più”.
Ma si poteva fare in tv…
“Berlusconi voleva farlo, c’erano già svariate sceneggiature. Ma credo non si siano messi d’accordo con Medusa, che poi si è comprato molto tempo dopo. Ma all’epoca Berlusconi si stancò e lasciò perdere”.
Ci sono i famosi inediti…
“Be’ c’è Pierino Stecchino. Era un bel film, ma mo’ sta in una banca. Il produttore non aveva pagato e le banche si sono prese il film. Potrebbero farlo uscire, dico, almeno recupererebbero qualcosa”.
Si parla sempre di un ritorno.
“Ce l’ho bell’e pronto, ed è anche una sceneggiatura molto bella: Fra’ Pierino”.
Che era Don Pierino…
“Sì, ma io l’avevo detto in tv e così mi hanno fregato l’idea per don Matteo. Poi dicevano eh non si può più fare un altro don… E allora ho fatto fra’ Pierino”.
Finisce in convento a consolare le suore?
“Finisce in convento, ma ad aiutare la povera gente. Lo potrei dirigere io direttamente. Girato ormai in digitale non costerebbe molto, parliamo di 300-400 mila euro. E il produttore non dovrebbe perdere troppo tempo con la distribuzione: basterebbe farlo uscire per due tre settimane e poi via, dvd, tv. Il pubblico c’è…”.
Intanto qui a Loano dopo lo spettacolo c’è stata una coda di quasi un’ora con spettatori di ogni età, dai bambini i cui genitori forse non erano ancora nati all’epoca dei Pierini, a signori di settant’anni…
“Il pubblico mi ama ancora, lo si vede ad ogni occasione come questa. Spero di riuscire a fare un ritorno vero”.