KVIFF – Karlovy Vary 2014 – Intervista a Anurag Kashyap – Il noir indiano

di Furio Fossati.
Il Karlovy Vary International Film Festival (KVIFF) prosegue nella proposta di autori interessanti ma che spesso hanno difficoltà a trovare una distribuzione internazionale.
Per questo graditissimo il tributo al regista, sceneggiatore, attore e produttore indiano Anurag Kashyap che ha compreso otto suoi titoli.

41 anni, nato a Gorakhpur, si è trasferito a Bombay, cuore di Bollywood, poco più che ventenne, ed ha ottenuto il suo primo contratto come sceneggiatore per Satya di Ram Gopal Varma nel 1998. In soli 16 anni, ha prodotto o coprodotto 19 film, scritto per 38 film e diretto 14 titoli.

Come regista, Kashyap è irrequieto e provocatorio, e lui è sempre stato attratto da una serie drammatici dalla violenza feroce e mafiosa (Gangs of Wasseypur), alcol e autodistruzione per droga e farmaci (Dev D), sequestro di persona e giochi di potere (Ugly), sfruttamento sessuale (That Girl in Yellow Boots), campus universitari e quiescenza politica (Gulaal), omicidi, droga (Paanch), gli attentati terroristici di Mumbai nel 1993 (Black Friday). Ma non si ferma a questo: Bombay Velvet, il film che sta preparando, è pensato come una trilogia su come Bombay è diventata una metropoli.

Kashyap si è sottoposto ad un fuoco di fila di altri realizzatori e poi ha concluso con una scoppiettante conferenza stampa. Sorridente, con un eloquio sempre arguto, Kashiap ha parlato a 360 gradi del cinema indiano e della sua opera, minimizzando sempre il valore di quanto da lui realizzato.

–  Come definirebbe il suo cinema?

“Desiderio di raccontare storie semplici da capire che possano parlare a tutti, piacere di lavorare insieme a tante persone che sono divenuti amici veri, la gioia di scoprire che conoscono il mio nome anche all’estero: non potrei desiderare di più”.

–  Che effetto le fa di essere trattato come una star internazionale, Lei che è una bandiera del cinema indipendente?

“Per potere realizzare sempre nuovi progetti, questo compromesso è indispensabile. Faccio il film, lo presento ai Festival, contatto i distributori e le televisioni, ottengo denaro che reinvesto nel cinema in cui credo. Per fortuna, come a Karlovy Vary, spesso mi capita di incontrare persone che conoscono realmente quello che ho fatto, che magari mi pongono domande a cui è difficile rispondere, ma che sono documentate ed in grado anche di contestare. Per un filmaker credo che questa sia una grande soddisfazione”.

–  Molti considerano un suo marchio di fabbrica utilizzare la macchina da presa puntata direttamente sul volto degli interpreti, attraverso l’utilizzo dello zoom. Ci spiega come mai utilizza questo tipo di inquadrature.

“Come tutte le cose più riuscite, anche questa è nata in maniera naturale, senza pensare ad un eventuale lavoro artistico ma per tentare di superare problemi tecnici. Il mio cinema è accettato ma non supportato dalle autorità e, soprattutto quando gli esterni sono realizzati in città come Bombay, i problemi non mancano.

Le vie sono caotiche, piene di traffico e di ingorghi e nessuno le blocca per permettere di realizzare con calma delle riprese per un film. Quindi, ho imparato a piazzare la macchina da presa lontana dal set, in realta location non ricostruite ma angoli interessanti della città, e a fare lavorare gli attori come se stessero facendo uno spettacolo per chi sta passando. Gli interpreti forse si sentono più a loro agio senza la presenza dell’obbiettivo e chi passa, alle volte, diviene involontario interprete. Così facendo spesso si ottengono risultati migliori che quelli possibili nella perfetta staticità di un set convenzionale”.

–  Cosa vuole raccontare nei suoi film?

“Spero di riuscire a rappresentare quel continente che viene chiamato India. È difficile raccontarla e farla conoscere perchè non esiste un paese identificabile attraverso pochi stereotipi. Vi è un insieme di genti con culture diverse, che si comporta in maniera diversa perchè ha come punto di contatto con gli altri spesso solo la nazionalità. Anche l’aspetto fisico fa capire quanto possa esssere molteplice questo popolo. L’India non è solo Bombay o New Dely”.

–  Ed il cinema realizzato a Bollywood cosa racconta?

“Come in tutto il mondo, anche in India c’è il cinema di intrattenimento, sicuramente da rispettare, ma che dice poco delle realtà sociali. È utile per il suo impatto sulle grandi masse e propone quasi sempre storie d’amore, fiabe, spesso un qualcosa che si potrebbe paragonare alle telenovelas. Sicuramente parlano dei gusti della gente comune, ma difficilmente rappresentano l’India. Io ed altri colleghi abbiamo utilizzato anche i benefit di questa straordinaria macchina da film ma, spero, in maniera differente”.

–  Ritiene che il cinema indiano possa trattare temi che possano essere di interesse in tutto il mondo?

“Il cinema indiano di Bollywood,  ma anche in particolare il cinema Tamil e Marathi, stanno esplorando alcuni temi davvero scottanti. Quindi ci sono molte idee e molti prodotti interessanti, ma non sanno come vendere se stessi. Fuori dall’India, quante persone conoscono la cinematografia di Marathi e Tamil?  Bisogna che i realizzatori  riescano a trovare le giuste vie per farsi conoscere: se nessuno sa del tuo lavoro artistico, è come se non esistesse”.

–  Lei è noto per il suo stile tagliente e provocatorio, è tra i pochi registi che abbiano dato a Bollywood una nuova direzione con la scelta di soggetti e temi che sarebbero stati tabù fino a pochi anni orsono.

“Come capita in tutto il mondo, il filmaker cerca di proporre le idee del suo cinema e, se trova produttori, riesce a realizzarle. Ma questo dura poco se non si ottiene notorietà internazionale e copertura dei costi. Io tuttora sono un autore che non ha bisogno di grandi budget per realizzare i film, ma se non coprissi almeno i costi probabilmente non avrei la possibilità di realizzare altri progetti. Quindi, è quasi sempre il mercato che permette di proporre idee nuove e la bravura è quella di realizzare opere che soddisfino l’autore ma che abbiamo quel indispensabile minimo riscontro commerciale. Per fortuna ormai all’estero si sono accorti del nostro cinema e molti lo apprezzano”.

–  In molte occasioni utilizza luoghi reali piuttosto che location ricostruite.

“Mi piace girare in luoghi reali. Si ha tutt’altra emozione che non quando si cerca di imitare la realtà. Questo è anche uno dei motivi per cui preferisco non utilizzare volti noti: quando ho fatto questa scelta, il risultato è stato meno efficace. E’ piu’ una scelta artistica che non l’esigenza di risparmiare sul budget”.

– Quando un film riesce ad essere presentato a livello di festival prestigiosi quali  Toronto, Locarno, o Venezia e Cannes che hanno ospitato sue opere più di una volta, in India ottiene qualche agevolazione?

“Purtroppo non è così: nel mio paese lla gente non sa nemmeno che esistano. Sicuramente si ha meno difficoltà a realizzare altri film, ma con le solite regole del costo e del risultato commerciale”.

(Furio Fossati)

 

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