FAR EAST FILM FESTIVAL 2014 – Unbeatable di Dante Lam


di Renato Venturelli.
Dante Lam conferma di essere in un momento strepitoso della sua carriera ormai quasi ventennale, che ne fa un regista simbolo del cinema di Hong Kong dopo l’handover, in quanto decollata con “Option Zero” proprio in quel fatidico 1997 prima di essere rilanciata qualche anno fa dalla svolta di “Beast Stalker”.
Subito proposto dal FEFF fin dal primo giorno, “Unbeatable” è il film con cui Lam ha conquistato il box-office HK del 2013 e in cui tutti hanno subito riconosciuto uno dei maggiori risultati (per qualcuno il migliore in assoluto) del rapporto tra azione e personaggi all’interno della sua opera.
Il grande Nick Cheung vi interpreta un ex-campione del ring che s’è messo nei guai con la malavita ed è costretto a scappare da Hong Kong, cercando di rifarsi una vita a Macao. Va a vivere in un appartamentino dove già ci sono già una bambina con la madre psicolabile, trova lavoro in una palestra di MMA (mixed martial arts), si ritrova ad allenare un giovane che cerca di riscattare nei combattimenti il suo personale rapporto col padre. E naturalmente finisce prima o poi per essere coinvolto nei combattimenti in prima persona, oltre che ritrovarsi braccato anche a Macao dagli scommettitori con cui è indebitato.
Ogni personaggio è fornito di un suo convenzionale background drammatico che spinge continuamente la sua esistenza sul filo del rasoio. Ma se vicenda e personaggi, intrighi melò, amicizia virile, storie di perdenti e di riscatti, rapporti assortiti tra genitori e figli restano in un ambito risaputo, al tempo stesso permettono al film di svilupparsi sempre in modo articolato, sostenendo drammaturgicamente un’azione che da un certo punto in avanti è in larga parte incentrata sui combattimenti di un torneo MMA con tanto di braccia slogate, teste spaccate, personaggi che finiscono all’ospedale rischiando la vita.
Il risultato è un film pulsante, vorticoso, di grandissimo dinamismo, ma dove tutto scaturisce sempre dalla tensione dei corpi e delle persone, da un coinvolgimento profondo che arriva dall’interno più che un ritmo visivo esteriore. Non solo una questione di drammaturgia, insomma, ma soprattutto una questione di regia e di messinscena.

(renato venturelli)

 

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