di Renato Venturelli.
Cina, 1999. Pezzi di cadavere vengono ritrovati in mezzo a mucchi di carbone, disseminati tra varie fabbriche di un’intera regione. Un poliziotto indaga su quel misterioso delitto, ma viene fermato da uno scontro a fuoco in cui rischia la vita: cinque anni dopo, quel poliziotto è ormai stato escluso dal servizio, lavora per conto suo come addetto alla sicurezza ed è un alcolizzato senza futuro, ma ha l’occasione per tornare ad occuparsi di quel caso…
“Black Coal, Thin Ice” (n originale suona però “Daylight Fireworks”) comincia come un classico poliziesco, e si sviluppa poi secondo i crismi del cosiddetto “noir d’autore”, dove spunti convenzionali vengono riletti con esibita personalità registica. Il protagonista è un ex-poliziotto sbandato, solitario, posseduto da un misterioso malessere interiore. E quando finalmente torna ad occuparsi di quel caso criminale di cinque anni prima, lo fa sviluppando un rapporto ossessivo con l’enigmatica lavorante di una lavanderia, una dimessa “femme fatale” che nasconde i suoi misteri dietro lo squallido e triste bancone del negozio. Un rapporto che sembra poter sfociare in un autentico coinvolgimento affettivo, ma resta sempre sul piano ambiguamente trattenuto, tra fascino e manipolazione.
Terzo film del 45enne Diao Yinan, “Black Coal, Thin Ice” viene dopo “Uniform” (2003) e “Night Train” (2007). Nel primo, un poveraccio s’impadroniva dell’uniforme di un poliziotto e grazie a quella falsa identità trovava nuove prospettive di vita. Nel secondo, una donna solitaria lavorava nel reparto femminile delle esecuzioni capitali del carcere e si legava al vedovo di una delle sue vittime. Con questo suo terzo film, Diao Yinan continua a raccontare un mondo di personaggi marginali e malinconici all’ombra delle divise e all’interno di una società a brandelli. In una bella e beffarda sequenza, il protagonista giace ubriaco ai margini della strada, con la moto su cui viaggiava rovesciata a terra: passa un altro motociclista, lo supera, torna indietro per occuparsi del ferito, e una volta accertatosi della sua condizione gli ruba la moto e se ne va, lasciandogli sul posto il suo vecchio motorino. Tutto girato in modo sempre assolutamente personale. Orso d’oro all’ultimo festival di Berlino: a sorpresa, con qualche obiezione, ma a testimoniare comunque il tentativo di intraprendere nuove strade da parte dei più recenti autori cinesi.
(renato venturelli)