di Massimo Lechi.
Raccontare la malattia non è impresa semplice. Patetismo e voyeurismo sono rischi sempre dannatamente concreti. Confini labilissimi, talvolta poco più che sfumature, separano infatti pudore e sfruttamento della sofferenza. Davanti a cosa è lecito fermarsi? Quando una mente che perde equilibrio, un corpo che cede, uno sguardo che lentamente si spegne devono uscire di campo, devono essere lasciati soli dalla macchina da presa, quell’occhio implacabile che seziona e cattura la realtà?
Da questo punto di vista, pur non avendo certo ambizioni teoriche, Vergiss mein nicht (Non ti scordar di me, nella traduzione italiana) offre un esempio pressoché perfetto di come il cinema possa affrontare la questione con onestà e delicatezza. Presentato con grande successo al festival di Locarno due anni fa, il film è un documentario autobiografico attraverso il quale il tedesco David Sieveking ha raccontato il lento declino della madre Gretel (nata Margarete Schaumann), affetta dal morbo di Alzheimer. Partendo dalla semplice registrazione della faticosa quotidianità della donna e di suo marito, il matematico Malte Sieveking, il regista innesca un processo di rievocazione del passato familiare, quasi una piccola inchiesta sulla malata, ormai priva della memoria e della possibilità di riconoscere i suoi cari. Ricostruzione della Gretel che fu (delle sue malinconie, dei suoi misteri) e racconto dell’anziana e canuta Gretel colpita dalla malattia procedono di pari passo, intrecciandosi nelle pacate confessioni di Malte, gravide di rimpianti e vaghi sensi di colpa, e nelle parole spesso fuori campo di David, affascinato dal ricordo al contempo ben presente e stranamente sfocato di una madre per molti versi distante e irraggiungibile. Il bianco e nero degli album di famiglia si alterna così a piccole banali azioni di tutti i giorni e a momenti di straordinaria tenerezza, tra sorrisi e affettuosità, nei quali la donna confusa e persa nell’incertezza dialoga, ride, riscopre incredula se stessa e i suoi rapporti con marito, figli e nipoti per pochissimi istanti, incapace di comprendere l’identità di chi le si muove attorno e la ragione di ciò che le accade. Ne scaturisce, foto dopo foto, testimonianza dopo testimonianza, il ritratto commosso di una figura femminile fuori dagli schemi, una studiosa di linguistica, conduttrice radiofonica, comunista orgogliosa, militante femminista nei caldi anni Settanta, e inoltre madre e moglie insofferente alle convenzioni della rigida Germania borghese. Uno straordinario spirito libero, insomma, di cui alla fine non rimase nulla se non un sorriso smarrito.
Atto d’amore prima ancora che oggetto cinematografico, Vergiss mein nicht è dunque una splendida riflessione sulla perdita e il ricordo, attraversata da una leggerezza e da una malinconia davvero toccanti. Da recuperare.
Grazie al Goethe-Institut Genua, il documentario sarà proposto a Genova il 10 aprile, alle ore 21 al Cinema Sivori, nell’ambito del Festival Nuovo Cinema Europa. Al termine della proiezione, un incontro con Malte Sieveking, presentato da Giulia Iannello.
Massimo Lechi