di Renato Venturelli.
E’ tempo di commedia anche per i film su israeliani, palestinesi ed omicidi mirati del Mossad, temi che siamo abituati a veder affrontati con taglio per lo più drammatico. E invece il risveglio nelle più svariate direzioni del cinema israeliano ha portato al festival di Bari il curioso “Kidon”, scritto e diretto da Emmanuel Naccache, che parte da uno spunto assolutamente classico da spy story per poi divertirsi ad avventurarsi nel territorio dei generi e dei paradossi della finzione.
La vicenda prende addirittura il via da un fatto reale: l’uccisione di un leader di Hamas in un grande albergo di Dubai, omicidio per il quale viene immediatamente ritenuto responsabile il Mossad israeliano, e in particolare la sua sezione Kidon incaricata di tali esecuzioni. Solo che, nel film, appena la notizia appare in tv, i primi ad essere stupefatti sono proprio i capi dei servizi israeliani. Chi ha allora commesso quell’omicidio? E chi si è stato così ingegnoso e spudorato da permettersi di beffare il Mossad?
Lo spunto reale diventa insomma il pretesto per innescare un gioco paradossale sulle convenzioni del cinema e dello spettacolo. Del resto, il regista sostiene che, fin dal momento in cui apprese nel 2010 dell’uccisione di Mahmoud al-Mabhouh a Dubai, pensò immediatamente a “Ocean’s Eleven”, il film anni ’60 con Frank Sinatra (da noi “Colpo grosso”) poi ripreso e serializzato da Soderbergh con George Clooney & Co. E “Kidon” ci riporta in effetti un po’ al clima di quegli anni, partendo da strizzate d’occhio alle spy-story dell’era Bond e alle loro colonne sonore, ma per dedicarsi poi agli elaboratissimi intrighi dei film su stangate e colpi grossi. Con sacchetti di diamanti, trafficanti internazionali, ex-agenti del Mossad, piccoli e grandi truffatori, alcolisti anonimi, false spie e falsi poliziotti.
Come usa in questi casi, l’intreccio si sviluppa poi ostentando il suo eccesso di elaborazione, ma finendo così anche per disperdersi in una sequela di colpi di scena ripetitivi. Il film ha però un ritmo sostenuto, alcune situazioni sono divertenti e Naccache conferma come per molti registi delle ultime generazioni i generi siano soprattutto un grande gioco di beffe e ammiccamenti fine a se stesso. Con un’appendice, in questo caso, anche sul versante politico: tutti chiedono a Naccache se i servizi israeliani non si sono risentiti per il modo in cui vengono rappresentati, ma scherzare sul Mossad è in fondo un modo per rendere le sue imprese più familiari ed accettabili.
(renato venturelli)
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