di Renato Venturelli. Nella sua recente autobiografia “Un marziano genovese a Roma”, Giuliano Montaldo rievoca il suo lungo rapporto con Gian Maria Volonté. I due si erano incontrati per la prima volta litigando sul set, quando Montaldo era giovanissimo aiuto di Lizzani alla seconda unità. Poi si erano detestati quando (sostiene Montaldo), l’attore aveva rubato al regista la fidanzata Carla Gravina, interpretando con lei a teatro Giulietta e Romeo. Alla fine, però, non solo avevano fatto pace, ma avevano lavorato insieme in occasioni storiche come il film Sacco e Vanzetti e il Giordano Bruno televisivo.
Montaldo ricorda anche fino a che punto Volonté fosse talmente concentrato sui personaggi interpretati da rimanerne quasi imprigionato. Quando faceva Giordano Bruno, era sempre cupo e solitario. Quando era sul set di Sacco e Vanzetti, si comportava in modo protettivo verso Sacco/Cucciolla, proprio come faceva il suo personaggio. E quando lavorava in Porte aperte di Gianni Amelio, trattava malissimo Ennio Fantastichini, che pure lo considerava suo grande maestro e modello: appena finita l’ultima ripresa, si precipitò però ad abbracciarlo e scusarsi, dicendo “per il mio personaggio eri il nemico, dovevo trattarti così…”.
Giuliano Montaldo è in questi giorni tra gli amici e colleghi di Gian Maria Volonté chiamati a ricordarlo al festival di Bari, che dedica all’attore una grande retrospettiva a vent’anni dalla morte (1933-1994), quasi “un festival nel festival”. Tra le rarità in programma, i lavori interpretati da Volonté alla Rai, a cominciare dall’epoca in cui era ancora allievo di Orazio Costa all’Accademia di arte drammatica: si va dalla “Foresta pietrificata” nella versione di Enriquez alla “Fedra” diretta da Pavolini, da “L’idiota” dostoevskiano di Giacomo Vaccari a “Il taglio del bosco” di Cottafavi (da Cassola), il Michelangelo e il Caravaggio di Silverio Blasi o “La certosa di Parma”, diretta da Bolognini già nei primi anni ’80. E si vedranno anche due sue regie di documentari dei primi anni ’70: uno sulla lotta degli operai della Fatme a Roma (“La tenda in piazza”), l’altro sui moti neofascisti di Reggio Calabria, a sottolineare l’epoca del più intenso impegno politico.
Per il resto, una mostra con materiali provenienti dal Fondo Petri, i film suddivisi in tante sezioni tematiche, e tanti amici che tornano a ricordarlo. Tra questi ultimi, Bellocchio e Montaldo, Amelio, Lou Castel e i Vanzina, fino ad Andrea Camilleri, che fu anche lui allievo di Orazio Costa e il 12 parla di Volonté, Sciascia e il cinema. Sulla scelta dei Vanzina di “Tre colonne in cronaca”, Volonté era stato piuttosto esplicito: “So bene che è un regista sotto tiro. Francamente sono stufo di questi giornalisti che giudicano con sufficienza. Vanzina gira bene, sa dirigere il set e sfodera buone idee di regia. Forse basta per fare un buon film”.
Sempre però ricordando il famoso libriccino in cui Volonté segnava i dialoghi da interpretare sul set, sottolineando ogni battuta con colori differenti, a indicare il diverso tono da adottare, ora più enfatico, ora più sussurrato. Una tecnica maniacale, che serve a spiegare molte cose: a cominciare da quella sorta di potente isolamento con cui attraversava i suoi film, dando grandissima forza ai suoi personaggi, ma al tempo stesso apparendo come figura assorta e quasi solitaria. (renato venturelli)