Il mondo in Ferraniacolor


di R.V.
Quasi tutto il cinema classico italiano è stato affidato alle pellicole dell’azienda ligure. Che adesso prepara un grande ritorno.

Per molti anni, il cinema italiano a colori è stata una questione rigorosamente ligure. Tutto merito degli stabilimenti Ferrania, in Val Bormida, che erano partiti con la sperimentazione della pellicola a colori fin dagli anni ’40, e che nel dopoguerra guidarono passo passo i film italiani nella nuova avventura, sfidando lo strapotere dei colossi stranieri.
Fu così che venne girato in Ferraniacolor Totò a colori, il primo film italiano a sfuggire alla regola del bianco e nero (1952): e siccome ci volevano impianti potentissimi d’illuminazione, si dice che la vita sul set fosse un inferno per il Principe De Curtis, già sofferente agli occhi.
E fu girato in Ferraniacolor anche un film come La spiaggia (1954) di Alberto Lattuada, quasi tutto realizzato tra Spotorno e Finale Ligure, un gioiello assoluto non solo per la sua sferzante morale, ma per il modo in cui sperimenta un uso già raffinato del colore. Lattuada decise ad esempio di impiegare solo colori freddi, escludendo rigorosamente il rosso per evitare la facile festosità dei colori caldi. “Ogni due o tre notti andavo a Ferrania a portare il materiale” ricorda la sorella Bianca Lattuada, produttrice del film. “Andavo solo io: viaggi notturni, dormivo in macchina. Ma lo sviluppo del materiale e il suo controllo era una cosa troppo delicata per delegarla ad altri. La Ferrania ci seguiva con grande attenzione: il nostro era un esperimento della massima importanza”.
Ed è così per decine e decine di altri film a colori dell’epoca. Direttore della fotografia di La spiaggia era ad esempio Mario Craveri, operatore di grandissima esperienza, che aveva condotto esperimenti fondamentali sia nel colore che nell’uso del neonato CinemaScope, e con la sua abilità nel maneggiare queste innovazioni decretò il successo internazionale anni ’50 di documentari esotico-spettacolari in Ferraniacolor come Magia verde o Continente perduto. E tra i grandi operatori dell’epoca che utilizzavano la pellicola prodotta in Liguria c’era Piero Portalupi, che faceva anche lui su e giù da Ferrania per seguire personalmente le varie fasi in laboratorio: il lavoro sul colore era delicatissimo e richiedeva collaborazione ed assistenza continua.
Naturalmente, erano in Ferrania anche le centinaia film in bianco e nero, che hanno fatto la storia del cinema italiano. Era ad esempio Ferrania la pellicola comprata avventurosamente pezzo per pezzo da Rossellini per Roma città aperta, e da lì quasi tutta la vicenda in bianco e nero del neorealismo italiano si snoda sotto il segno dell’azienda savonese. Ma saranno in Ferrania anche La ciociara di Vittorio De Sica, i film di Pasolini da Accattone a Il Vangelo secondo Matteo o Uccellacci e uccellini
Il Ferraniacolor è però rimasto particolarmente impresso nella memoria dei cinefili perché era uno dei rari sistemi europei, insieme al tedesco Agfacolor cui era imparentato fin dalle origini nell’era fascista. La storia degli stabilimenti liguri è del resto curiosa fin dall’inizio. Tutto prende infatti il via con una richiesta dell’esercito zarista, che nel bel mezzo della prima guerra mondiale si rivolge alla Società Italiana Prodotti Esplodenti (S.I.P.E.), che già produceva TNT a Cengio, per acquistare grandi quantitativi di materiali esplosivi. La Rivoluzione d’Ottobre e la fine della guerra ridimensionarono bruscamente questa produzione, ma gli stabilimenti di Ferrania furono riconvertiti in modo da gettarsi sul mercato della pellicola cinematografica.
La produzione crebbe rapidamente, attraverso una serie di vicende aziendali che coinvolgono i francesi della Pathé Frères, la Film (Fabbrica Italiana Lamine Milano), la Cappelli e altri marchi, fino a far diventare la Ferrania una delle grandi imprese del settore a livello internazionale dopo Kodak o Agfa, con migliaia di dipendenti. E negli anni ’40 la sperimentazione del colore avviata prima della guerra comincia a dare i suoi frutti, ponendosi dal punto di vista tecnico nella scia dell’Agfacolor tedesca. Sul finire del decennio vengono così realizzati i primi cortometraggi, nel 1952 esce Totò a colori ed ottiene un ottimo successo internazionale il documentario esotico Magia verde. Per alcuni anni, cinema a colori significa in Italia Ferraniacolor, con tutte le caratteristiche che ne derivavano anche per le sue particolari tonalità, più delicate rispetto alla violenza visiva del Technicolor.
Accanto alla produzione industriale, c’è del resto anche una crescente importanza culturale del marchio. Dal gennaio 1947 comincia ad uscire il mensile Ferrania, che non è un semplice bollettino aziendale, ma una vera e propria rivista di cultura visiva, splendida nella confezione e sostanziosa nei contenuti. Fin dal primo numero, oltre ad esempio a un articolo di Carlo Carrà su Giotto, ci sono un notiziario cinematografico e un saggio su “la cineteca e i circoli del cinema” firmato Ugo Casiraghi, sul numero 3 un articolo del regista Luigi Comencini e così via con qualità sempre alta per vent’anni, fino al 1967. E col tempo è cresciuta anche la prestigiosa collezione di fotografie.
Poi, negli anni ’60, la crisi. La Ferrania viene acquistata dagli americani della 3M, negli anni ’70 cambia anche il nome e a poco a poco comincia la discesa, con tutte le lotte sindacali, le rinascite, i ridimensionamenti e le chiusure di cui si ha memoria nella cronaca dei quotidiani. Fino alla notizia recente, con la costituzione della FILM Ferrania e il progetto di tornare a produrre pellicola nel 2014. Una rinascita quasi insperata negli anni del digitale, che il Circolo Savonese Cineamatori ha intenzione di celebrare con una serata in occasione del proprio 50° anniversario: e speriamo che l’iniziativa sia il prologo per una più ricca ricostruzione storica dell’importanza cruciale della Ferrania nella storia del cinema italiano.

Postato in Industrie, Numero 100.

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