Aspettando Melville


di R.V.
Da Zerobudget a Greenaway, Andrea Bruschi si divide tra film e concerti, Italia e Germania. Ma come attore sogna il ritorno del grande cinema italiano di genere. E di poter interpretare un grande noir.

Non solo sei nato nel maggio ’68, ma pure il 1° maggio… Ti senti figlio del ’68?

Sicuramente, è un dato oggettivo… Anche se il ’68 lo conosco poi solo attraverso i racconti degli altri. Ma se significa carattere irrequieto e battagliero puoi giurarci.

Sei arrivato al cinema dalla musica, però.

Se è per quello ho cominciato a recitare ancor prima, nel teatrino parrocchiale di via Donghi. Ma per me è importante il modo in cui ho potuto andare al cinema fin da bambino. Abitavo nel quartiere di San Fruttuoso: Diana, Piave, Eden me li facevo tutti, e quando poi ho scoperto il Lumière è diventato il riferimento fisso. Il cinema Eden era proprio sotto casa mia, quindi ci andavo tutti i pomeriggi fin da bambino. Ringrazio di far parte forse dell’ultima generazione che andava a vedere i film al cinema, ogni giorno, vedendoseli magari due o tre volte di fila. L’impatto era enorme, quelle immagini da uno schermo gigantesco ti restavano nel profondo, lavoravano sull’inconscio.

La scuola di cinema primaria.

Ho fatto in tempo a vedere cos’è stato il cinema per il Novecento. Vedevo di tutto: da John Ford a Franco e Ciccio, da Godzilla ai noir di Melville. Vedevo anche i film più assurdi, tutti in pellicola perché non c’erano ancora le videocassette. E’ un’esperienza irripetibile: vedere tutto, conoscere il mondo attraverso il cinema. L’America, l’Oriente, te li raccontavano i film, non certo la tv. Quello che abbiamo vissuto in quelle sale di quartiere è anche difficile da spiegare, perché dagli anni ’80 è cambiato tutto completamente.

Però hai cominciato con la musica…

Da ragazzino era difficile pensare di poter diventare attore, entrare a far parte di quel mondo. Era invece più facile suonare con gli amici, formare dei gruppi. Ho iniziato come songwriter e cantante, ho inciso il primo disco a 19 anni e sono stato in tournée in Giappone. Ma avevo sempre la voglia di recitare, e quando firmavo i contratti discografici -perché all’epoca erano contratti veri- cercavo sempre di infilarci un musical, per fare anche l’attore.

E poi?

C’è  stata l’università. A Lettere andavo al corso di letteratura teatrale di Franco Vazzoler, che organizzava happening, faceva recitare tutti. Lì ho incontrato Lorenzo Vignolo, e siccome nel frattempo avevo seguito corsi di recitazione e scrivevo piccole storie, siamo partiti. Abbiamo formato Zerobudget, girato i primi corti e vinto il premio nazionale con Dove, che è entrato nell’antologia di dieci migliori corti italiani in cui c’era tutta la nuova generazione di attori italiani, Favino e gli altri. A quel punto mi sono trasferito a Roma e dal 1996 ho cominciato a lavorare regolarmente. In tv ero nella serie Un posto al sole, regista Muccino.

Quindi c’è stato Il partigiano Johnny, di Guido Chiesa.

A Genova abbiamo fatto 500!, con Robbiano, Vignolo, Zingirian. Ma nel frattempo mi ha chiamato Guido Chiesa, che era stato assistente di Jarmusch a New York. Con lui avevo già dato la voce a Fenoglio per Una questione privata su Rai3. Vinsi l’audizione per Il partigiano Johnny, pensa che il romanzo l’avevo portato come tesina all’esame di maturità! Avevo una parte secondaria ma partii subito con un film importante, che è andato a Venezia e resterà nel tempo.

Capitolo Greenaway.

Con lui ho lavorato due volte. Le valigie di Tulse Luper era un film sperimentale, in cui girammo moltissime scene che poi non sono entrate nel montaggio finale, fu una grande esperienza. Interpreto uno dei nazisti che tortura Tulse Luper, sono cattivissimo.

Saresti perfetto per quel cinema di genere che oggi in Italia non si fa più… Thriller, horror, caratterizzazioni truci.

Mi piacerebbe anche fare western! Questa storia che in Italia non si fanno più film di genere come in passato mi ha penalizzato. La fiction tv ha ammazzato il cinema di genere, tende ad essere stereotipata, a non osare. Niente a che vedere con quello che era il cinema di genere italiano anni ’60 e ’70 per creatività, fantasia, anche violenza ed eccesso.

Hai fatto I tre volti del terrore con Stivaletti.

Per fortuna sono riuscito a trovare qualcuno che faceva ancora quel tipo di film. Con Stivaletti mi sono divertito molto, ho anche lavorato con un grande come John Philip Law, quello di Diabolik e del Barone rosso di Corman. Con lui era nata una bella amicizia, ero anche andato a trovarlo negli Stati Uniti. Spero di lavorare ancora con Stivaletti, nel frattempo ero stato protagonista in Demonium di Andreas Schaas, un regista tedesco di splatter che era venuto a Roma per fare un horror più classico. E ho appena fatto The Sweepers di Igor Maltagliati, prodotto da Robertino Rossellini, un noir che deve uscire l’anno prossimo: si svolge tutto a Roma, con molti attori di Romanzo criminale.

Altri lavori recenti?

Sono reduce da Una storia sbagliata di Tavarelli, tutto girato in Tunisia, anche se la storia si svolge in Iraq. Riguarda un gruppo di dottori che vanno in Iraq per curare i bambini, ma una di loro -Isabella Ragonese- è lì per altri motivi.

In Aspirante vedovo cerchi di bidonare Fabio De Luigi: ti dai anche alla commedia?

Avevo la parte che nel film con Sordi interpretava Gigi Reder! Mi piace recitare la commedia, avevo una parte anche in Workers. Però nella commedia danno la priorità ai cabarettisti, ai comici che si vedono in tv, mentre un tempo davano spazio anche ad altri attori. E pure i comici tv non è che in questo momento abbiano molte occasioni al cinema… Io ormai vivo diviso tra l’Italia e la Germania: per sei mesi all’anno sto a Berlino, ho un gruppo che si chiama Marti con cui abbiamo inciso dischi, facciamo concerti. E in Germania ho recitato anche in un film, Shadow in the distance, di Orlando Bosch.

C’è qualcos’altro in sospeso?

Con Giuseppe Ferrara, dopo aver fatto l’operaio Bartolini in Guido che sfidò le Brigate Rosse, ho girato Roma nuda, un film sulla malavita romana che però è bloccato. Peccato, tra l’altro è l’ultimo film con Califano! E soprattutto segna il ritorno del grande Tomas Milian. Quando lo vedevo sul set Tomas mi diceva “Tu mi ricordi il Maestro Volonté!”, perché in effetti un po’ di somiglianza fisica dicono che ce l’ho…

Un appello?

Sì, sono qui che aspetto il mio Melville, perché mi faccia interpretare un grande noir!

(R.V.)

Postato in Attori, Numero 100.

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