TFF 2013: Only lovers left alive


Il nuovo lavoro di Jim Jarmush è interpretabile come un film sul tempo, sui cicli storici, sulle epoche che iniziano e finiscono – e talvolta si ripetono – per permettere ad altre d’intraprendere il loro corso. I lenti movimenti di macchina circolari dell’inizio lo segnalano, la sceneggiatura lo conferma.
Only Lovers Left Alive è ambientato nell’età contemporanea, ma diversi dialoghi indicano che in realtà i protagonisti e i loro comprimari – questi ultimi interpretati, tra gli altri, da John Hurt e Mia Wasikowska – hanno attraversato secoli e secoli di storia, assistendo a cambiamenti culturali, politici, sociali ed economici.
Gli amanti del titolo sono due vampiri: Adam (Tom Hiddleston) ed Eve (Tilda Swinton). Il primo abita a Detroit dove, rinchiuso in casa, compone cupe melodie rock, mentre lei “vive” a Tangeri passando gran parte del tempo in un tranquillo locale notturno. Testimoni di trasformazioni epocali, i protagonisti notano che anche la nostra era sta per finire: una fabbrica di Detroit chiusa per fallimento, una suntuosa sala cinematografica trasformata in uno squallido parcheggio e un diffuso degrado sociale indicano la fine del lavoro, della cultura e della civiltà, con il conseguente ritorno all’età barbarica, dove il solo e unico scopo sarà la sopravvivenza individuale.
Jarmush lancia così un messaggio cupo e pessimista sulla società odierna e futura, il tutto in un’atmosfera dark che unisce “orrore” e umorismo.
Se, infatti, i personaggi sono tipici di alcuni horror, i dialoghi e diverse situazioni sembrano provenire dalla commedia, grazie ad uno script ricco citazioni e d’invenzioni che rileggono in chiave moderna e ironica – ma non parodistica – i generi e le loro convenzioni.
Indubbiamente, sembra spesso che l’opera sia compiaciuta e un po’ furba nelle sue battute più o meno colte, intenta soprattutto ad accontentare lo spettatore mediamente istruito, rischiando così di sconfinare in un giochino un po’ snob.
Questo con delle ricadute sul piano del racconto, in cui alcune svolte narrative risultano deboli e poco credibili, pur all’interno di un contesto fantastico e irrealistico.
Al netto di tali limiti, va riconosciuto al regista il merito di aver saputo creare un lungometraggio complessivamente affascinante, sia per l’atmosfera dalla fotografia cupa e soffusa che per una messa in scena dal ritmo lento e dai toni volutamente apatici.
Tutto in un film che non è (quasi) mai un semplice esercizio fine a se stesso.

 (di Juri Saitta)

Postato in 31° Torino Film Festival, Eventi, Festival.

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