TFF 2013: The station di Marvin Kren


di Marvin Kren.

Un horror austriaco da esportazione. Tutto girato in alta montagna. E dal sottofondo pseudoecologista.
La situazione è quasi archetipica, con espliciti rimandi a The Thing: con una stazione di ricerche scientifiche isolata sui monti, gigantesche macchie rosse sulla neve delle vette, un cane morso da quella che sembra una volpe con la rabbia… Si scopriranno combinazioni genetiche, che danno origine a sempre diversi esseri mutanti: l’orrore scaturisce così da una continua mutazione, inserita nelle pieghe della natura per originare perfidi intrecci di animali sempre più mostruosi.

L’idea più bislacca del film è però un’altra: quando l’assedio alla baracca comincia a farsi pesante, ecco arrivare in visita ufficiale il ministro, una sessantenne che conosce la zona, se la fa a piedi fino alla vetta e una volta sul posto si rivela la più energica e combattiva di tutti. Fa fuori uno stambecco mutante a colpi di trivella, opera coraggiosamente una ragazza contaminata, getta un feto mutante nel fuoco. Energica, capelli biondi, rossetto e orecchini, la ministra comanda tutti e s’impone a sorpresa come l’autentico eroe della situazione. Una specie di Merkel in versione animal horror.

Dirige il regista di Rammbock, altro sf/horror del 2010, qui al suo secondo film, attraversato da costante ironia pur all’interno di un racconto che non si sofferma a strizzare troppo l’occhio allo spettatore, anche se tutto si svolge sempre su un doppio registro: compresa la ragazza pentita per un precedente aborto, che stavolta decide di tenersi un orrendo feto mutante, mezzo animale e mezzo uomo. E’ ancora una volta l’horror come gioco su convenzioni e situazioni note, ma in maniera non ostentata, tenendo sempre il racconto asciutto e spedito. E con la rappresentazione più bizzarra di un politico che si possa vedere, soprattutto di questi tempi. Anche se il regista presenta il tutto come ammonimento ecologista. “In questo caso il male coinvolge tutti, costringe a portare il peso di una colpa collettiva, la più grande per l’umanità: la sistematica distruzione del nostro pianeta” dice, ma ammette che nel film c’è il “sottile piacere” di mostrare a cosa la cosiddetta civilizzazione andrà incontro. E’ del resto di quel “sottile piacere”, vagamente perverso, che vive il cinema, buono o brutto che sia. Passato a Toronto e Sitges, a Torino nella sezione After Hours.

(Renato Venturelli)

Postato in 31° Torino Film Festival, Eventi, Festival.

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