Mostra di Venezia 2013: Philomena


Giustamente premiato per la sceneggiatura alla 70° Mostra del Cinema di Venezia, Philomena è stato il film che nel concorso ha rappresentato il cinema più classico e tradizionale, sia nella forma che nella concezione stessa di opera cinematografica, vista più come frutto del lavoro collettivo di una squadra di professionisti che come il risultato della mente di un unico autore.

Infatti, la regia “invisibile” di Stephen Frears ha in primis il compito di narrare in modo fluido e senza troppe sbavature la vicenda, lasciando così spazio alle interpretazioni dei protagonisti e, soprattutto, al vero punto di forza della pellicola: lo script di Steve Coogan e Jeff Pope, a tutti gli effetti co-autori del film.

Tratta da un fatto realmente accaduto, la trama vede come protagonista Philomena Lee, un’anziana signora irlandese che decide di recarsi negli Stati Uniti per reperire informazioni sul figlio che cinquant’anni prima le era stato sottratto da un convento di suore perché nato da una relazione extramatrimoniale. Ad aiutarla nell’impresa ci sarà anche il giornalista Martin Sixsmith, interessato a raccontarne la storia.

Nonostante il soggetto risulti potenzialmente assai melodrammatico, il regista e gli sceneggiatori evitano per quasi tutta la durata del film le possibili trappole melense e lacrimevoli, unendo invece il dramma alla commedia per realizzare un’opera leggera e profonda al tempo stesso, che vede nel ritratto dei due protagonisti e nella descrizione del loro rapporto il suo aspetto più interessante.

Se la formazione graduale e crescente di complicità e amicizia tra Philomena e Martin è rappresentata con delicatezza e umanità – grazie anche alle buone interpretazioni di Judi Dench e Steve Coogan -, è da notare che la pellicola dedica molto tempo anche a descrivere le loro diverse visioni del mondo: quella cattolica e genuina della donna e quella laica e cinica del giornalista.

Ed è proprio nel continuo confronto tra queste due culture che si riscontra l’abilità degli sceneggiatori, i quali hanno scritto dei dialoghi incisivi, concreti ed efficaci che alternando ironia e intensità drammatica mettono in luce le molteplici sfaccettature delle due concezioni etiche senza mai schierarsi né con l’una né con l’altra. Le conversazioni tra i protagonisti svelano le contraddizioni e i pregi di entrambe le visioni: se quella religiosa risulta ingenua ma più incline all’ascolto e al perdono del prossimo, la prospettiva laica è probabilmente più realista e colta, ma anche maggiormente chiusa e rancorosa.

Inoltre, nella pellicola compare sottotraccia ma quasi continuamente una domanda che conferma l’interesse degli autori per le questioni etiche: fino a che punto un giornalista o un testimone può raccontare e invadere la vita privata di un individuo anche quando la sua vicenda è potenzialmente d’interesse pubblico?

Al di là di come verrà risolto l’interrogativo, è importante riscontrare che Frears, Coogan e Pope hanno sì realizzato un film che apparentemente vede al centro la ricerca del proprio passato, ma dove in realtà i personaggi e il mutare del loro rapporto rappresentano benissimo l’incontro/scontro tra concetti, visioni e valori che ci accompagnano durante la nostra vita.

Il tutto raccontato e descritto con quella leggerezza non superficiale e con quella scorrevolezza narrativa che solo il cinema classico sembra saper creare e mantenere.

(di Juri Saitta)  

Postato in Eventi, Festival, Mostra di Venezia 2013.

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