Chi difende Winding Refn? Due anni fa, proprio qui a Cannes c’era stato il lancio trionfale del regista danese, che con “Drive” aveva finalmente conquistato anche il grande pubblico: basti pensare che in Italia era il suo primo film ad uscire ufficialmente in sala, nonostante a Torino gli avessero dedicato da anni una personale. Adesso, con “Only God Forgives”, la striscia dei fedelissimi si assottiglia, la proiezione per la stampa è accolta tra i fischi, e uno dei trionfatori di Cannes 2011 diventa il grande reprobo di Cannes 2013.
Il titolo risuona come quello di un antico spaghetti-western, genere amatissimo da Refn per il suo estremismo visivo e la sua deriva surreale. E la vicenda è ancora una volta improntata a una violenza estrema, a base di brutalità e vendette, pestaggi e sevizie, sempre però raccontati con stile assorto e ieratico, a ricordarci come tutta questa esplosione voglia essere al servizio di temi alti, riflessioni metafisiche, magari trasposizioni della tragedia greca nell’inferno thai boxe di Bangkok.
Un Ryan Gosling più immobile ed opaco che mai vi interpreta un trafficante americano da bassifondi, ma il suo understatement resta inerte. A rubare la scena a tutti è così Kristin Scott Thomas in versione bionda e darkissima, la Madre furibonda appena giunta in Thailandia per vendicare l’altro figlio, appena massacrato dai locali per aver ucciso di botte una giovane prostituta. E dio fronte a lei c’è il giustiziere locale, Vithaya Pansringarm, altro personaggio forte a schiacciare un eroe esasperatamente debole.
Il materiale è incandescente, lo stile di regia raggelatissimo, perché Refn abbandona la dimensione narrativamente più distesa di “Drive” per tornare a un suo cinema più astratto, di calcolatissime geometrie visive e di immagini sporche, personalissimo e pretenzioso al tempo stesso. Realizzato a basso costo, segna il ritorno del regista a un cinema più ostico, che a molti sembra solo un fuoco d’artificio sul vuoto ma per altri segna la sua voglia di continuare a smarcarsi. Prima del festival era inserito tra i favoriti, alla fine è uscito a mani vuote, massacrato soprattutto dalla critica italiana. Ma non è da escludere un futuro cult. Dedicato a Jodorowsky.
di Renato Venturelli