E’ stato uno dei film in concorso più maltrattati dalla critica, e non solo da quella italiana, il titolo con i voti sistematicamente più bassi nelle classifiche, forse anche perché c’è di mezzo la coproduzione da parte della Warner Bros: con tutte le conseguenze sia da parte di chi chiedeva un’opera in purissimo stile Miike, sia da parte di chi pretendeva un prodotto più levigato. Eppure, è uno dei film più energici visti in concorso, a partire da un ottimo soggetto.
La vicenda prende il via dal ritrovamento del corpo straziato di una bambina. L’assassino viene subito arrestato, ma deve essere scortato fino a Tokyo da una squadra di poliziotti. E siccome il nonno ricchissimo della vittima ha offerto una colossale ricompensa a chi riuscirà ad uccidere il colpevole, si scatena una furibonda caccia all’uomo. Da una parte c’è il colpevole, personaggio totalmente negativo, animato dal puro godimento del male. Dall’altra tutti i giapponesi, potenzialmente trasformati in milioni di assassini dall’offerta del miliardario. E in mezzo ci sono i poliziotti della scorta, chiamati a proteggere un criminale che moralmente non merita nessuna protezione, a loro volta tentati dall’offerta di denaro, costretti a scrutare se stessi e i propri compagni per capire chi è pronto a tradire in ogni momento. Una purissima storia di samurai, tutta snodata on the road, tra western e thriller. Dove alla fine si ritroveranno davanti i protagonisti fondamentali: il killer come incarnazione di un male assoluto, quasi metafisico; il miliardario come incarnazione di un male sociale, quello del denaro e del potere, l’uomo che ha potuto trasformare in assassini potenziali milioni di persone “normali”; e infine il poliziotto sopravvissuto, che ha scelto per senso dell’onore di proteggere fino in fondo un uomo che moralmente non merita alcun sacrificio.
Il risultato è un film che trasforma la geometria etica in un’iperbole trascinante, dove la scrittura selvaggia di Takashi Miike ha forse dovuto fare i conti con le esigenze produttive di confezione, ma che è andato incontro a una galleria di assurde contestazioni, riguardanti perfino risibili questioni di continuity o verosimiglianza. Pochi ma ottimi i sostenitori. Vedremo col tempo: ricordiamoci che a Cannes avevano fischiato perfino “I padroni della notte” come indegno di un festival, e ricordiamoci come a Mostra di Venezia – dove si premiano Ang Lee e Sofia Coppola – è stato vergognosamente trattato “Passion” di De Palma… (renato venturelli)