Tocca ancora a un regista straniero andare a rileggere la grande tradizione del noir americano anni ’70, e subito dopo il danese Refn (“Drive”), l’australiano Hillcoat (“Lawless”) o il neozelandese Dominik (“Cogan”), ecco il francese Guillaume Canet – con le sue stigmate molto meno autoriali – collaborare con James Gray per una delle sorprese “fuori concorso” di Cannes 2013. Per Canet è un bel colpo, visto che il successo internazionale “Non dirlo a nessuno” (inedito nelle sale italiane: e sulla scelta dei film francesi distribuiti in Italia ci sarebbe molto da obiettare, visto il modo in cui privilegiano sistematicamente titoli da festival ignorando gran parte del cinema cosiddetto popolare) rimaneva nell’ambito di un promettente anonimato, mentre il successivo “Piccole bugie tra amici” faceva esplodere il peggio del suo stile.
La storia di “Blood Ties” arriva peraltro da lontano. All’origine c’è il libro “Deux frères, flic & truand” (Flammarion, 1999), scritto dai due fratelli francesi Bruno e Michel Papet, poi trasposto sullo schermo nel 2008 con lo stesso Canet protagonista (“Les liens de sang”, di Jacques Maillot). Canet ha pensato di riproporlo ambientandolo negli Stati Uniti e trovando la collaborazione di un interessatissimo James Gray sia per la sceneggiatura che per la produzione. Non stupisce perciò che la vicenda familiar-poliziesca finisca per apparire in perfetta linea rispetto a “The Yards” o “I padroni della notte”, con due fratelli che crescono sulle opposte sponde della legge. Da una parte c’è Chris, un criminale che esce di prigione a metà degli anni ’70 e sembra volersi reinserire nella società; dall’altra c’è Frank, il fratello minore che è invece un poliziotto in carriera della polizia newyorkese e cerca di aiutarlo ospitandolo in casa propria. Ma prima o poi Frank torna ad immergersi nel mondo del crimine, portando sempre più alla luce un rapporto complesso e tortuoso tra i due fratelli: che litigano violentemente, si sparano addosso, ma sono anche sempre pronti a sacrificarsi l’uno per l’altro, un po’ alla maniera di certi personaggi malavitosi di un José Giovanni.
La regia di Canet si limita a mettere in scena con precisione i personaggi e i loro contrasti, senza far parlare le immagini come facevano invece i film di Gray, e cadendo in qualche caso anche in qualche leziosità tutta sua. Ma il rapporto tra personaggi è denso, Clive Owen offre forse la sua migliore interpretazione nella parte del criminale di mezz’età, ruvido e disilluso al tempo stesso, Billy Crudup è il fratello a suo modo più debole, chiuso in una testarda puntigliosità, ossessionato da un antico gesto di vigliaccheria infantile. E dietro a loro c’è una delle ingombranti figure paterne del cinema di Gray: in questo caso interpretata dal monumentale James Caan di “The Yards”.
(renato venturelli)