NO: la caduta di un regime e lo svuotamento della politica nel nuovo film di Pablo Larrain


A causa delle numerose pressioni internazionali, nel 1988 il governo Pinochet indisse –– sicuro di vincere – un referendum sul proseguimento del suo governo.

A sorpresa vinse il “No”, grazie anche a René Saavedra, professionista nel campo della pubblicità, che condusse la campagna elettorale utilizzando i mezzi espressivi tipici dello spot televisivo.

Questa è la vicenda che racconta No di Pablo Larrain, terzo capitolo della sua trilogia su Pinochet, inaugurata con Tony Manero e proseguita con Post Mortem.

Nonostante il film abbia riscontrato un grande successo all’ultimo festival di Cannes vincendo nella sezione Quinzaine des Realisateurs, non si sa ancora la sua precisa data di uscita in Italia, in quanto programmato per questo dicembre e poi rimandato all’anno prossimo.

In ogni caso, si è potuto vedere e apprezzare il film al Torino Film Festival, che l’ha proiettato in Torino XXX, una sezione che in occasione del trentesimo anniversario della manifestazione ha programmato gli ultimi o penultimi film di alcuni autori che hanno sempre avuto un rapporto particolare con la manifestazione.

Il film di Larrain risulta molto interessante non solo per la vicenda narrata, ma anche e soprattutto per l’ampio uso del materiale d’archivio (composto in gran parte dagli spot elettorali) e per la sua fotografia, la quale ha dei difetti di colore e d’illuminazione tipici di un video invecchiato.

Come ha dichiarato l’autore, l’effetto-invecchiamento della fotografia serve soprattutto a creare una certa continuità e omogeneità tra le riprese realizzate appositamente per il film e il numeroso materiale d’archivio utilizzato, scelta che da un lato permette allo spettatore di inserirsi al meglio nel contesto storico, mentre dall’altro rende l’opera piuttosto realista.

A tutto ciò contribuisce in maniera evidente l’utilizzo del materiale d’archivio, il quale trasmette al film un’impronta e un impianto a tratti semidocumentaristici, tant’è che l’opera può essere talvolta interpretata come una sorta docu-fiction sul cambiamento della comunicazione politica in Cile.

Infatti, gli spot che Larrain ha selezionato per il film mostrano due tipi diversi di campagna elettorale: da un lato quella antica e perdente del comitato per Pinochet, pomposamente basata sulla figura carismatica del leader, dall’altro quella dei comitati per il “No”, incentrata su colori, musica e vivacità, come un qualsiasi altro spot televisivo.

Tutto ciò apre ad una riflessione profonda e amara: tale propaganda elettorale, rincorrendo e imitando l’estetica pop della peggiore pubblicità, ha sminuito il valore della politica, trasformandola in un qualsiasi altro prodotto da supermercato.

Ne sembra consapevole anche il protagonista René (interpretato da un bravissimo Gael Garcia Bernal), il quale nel finale di vittoria ha uno sguardo smarrito e un po’ triste, forse consapevole di quanto i mezzi sfruttati – se pur per uno scopo nobile come quello di far cadere regime totalitario – abbiano, di fatto, svuotato di contenuti una lotta politica importantissima.

Ed è proprio sullo sguardo del protagonista che si concentra la regia di Larrain nelle scene finali, preferendo un volto dubbioso alla folla trionfante: scelta semplice ma non scontata, che denota la profonda visione sociale, umana e cinematografica dell’autore cileno.

Con il suo stile apparentemente rozzo e le sue scelte linguistiche lineari, No riesce a dimostrare quanto al cinema bastino anche pochi, semplici ma meditati elementi per raggiungere il massimo della profondità.

(di Juri Saitta)

Postato in 30° Torino Film Festival, Festival.

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