Alcuni film usciti recentemente nelle sale come Hugo Cabret e le 15 parti di The Story of Film sottolineano, magari in maniera diversa, l’importanza della memoria cinematografica, soprattutto attraverso il restauro e la divulgazione della storia della settima arte.
L’ultimo evento organizzato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino sembra seguire tale direzione. Infatti, dal 4 ottobre 2012 al 6 gennaio 2013 il museo ha in allestimento la mostra Metropolis. Il capolavoro ritrovato, dedicata al capolavoro di Fritz Lang del 1927, progetto a cura di Peter Monz e Kristina Jaspers per la Deutsche Kinemathek – Museum für Film und Fernsehen di Berlino.
La mostra è stata in qualche modo inaugurata il 4 ottobre da un’iniziativa collaterale e complementare: la proiezione al Cinema Massimo del film di Lang nella sua versione quasi integrale di circa 153 minuti con le musiche originali di Gottfried Huppertz.
Dalle due iniziative emergono da un lato la monumentalità dell’opera, dall’altro la storia di una pellicola perduta, restaurata e in parte ritrovata.
Se l’emozionante proiezione ha restituito tutta la forza visionaria del film, risaltando le sue grandi scenografie, le sue sperimentazioni e la sua potente colonna sonora, la mostra mette in rilievo almeno altri due aspetti della sua monumentalità.
Il primo, forse il più scontato, riguarda la grandezza del set. Le foto di scena e i quadri con le spiegazioni scritte illustrano non solo le maestose scenografie e le numerose maestranze coinvolte nel film, ma descrivono anche il grande lavoro architettonico servito a costruire la città immaginaria di Metropolis, tra cui gli ascensori che portano gli operai a lavoro.
Inoltre, la curiosissima fotografia che ritrae Aleksandrov, Tissè ed Ejzenstejn sul set del film attesta quanto fosse forte l’attesa e la curiosità per quello che all’ora era il film tedesco più costoso mai realizzato.
A risultare monumentale è anche la minuziosità del lavoro di Lang e dei suoi collaboratori: com’è noto, il regista tedesco non lasciava nulla al caso e arrivava sul set con idee molto chiare e precise. A dimostrarlo sono le diverse note sulla sceneggiatura, oltre ai numerosi e bellissimi bozzetti preparatori, che ritraggono non solo le scenografie e i costumi, ma anche alcuni oggetti di scena e i titoli di testa. Inoltre, una delle scritte della mostra spiega come i lavori preparatori per Metropolis abbiano richiesto lo stesso identico tempo per realizzare le due parti complete di un altro kolossal langhiano: I Nibelunghi.
Ma il titolo della mostra allude esplicitamente anche alla storia dei tagli e dei successivi restauri della pellicola tedesca.
In tal senso, la proiezione inaugurale è stata importante non solo e non tanto per la sua capacità di restituire la grandezza del film, ma soprattutto per aver dato l’occasione al pubblico di Torino di vedere per la prima volta l’opera nella sua quasi totale integralità.
Da un lato sono finalmente emerse scene mai viste prima: è il caso ad esempio della sequenza visionaria e a tratti sperimentale dell’operaio Georgy che immagina e decide di andare alla casa di piacere Yoshiwara.
Dall’altro versante, personaggi ridimensionati nelle edizioni precedenti hanno riacquisito l’importanza originaria, basti pensare al già citato operaio Georgy e all’ambiguo e malefico Schmale, agente di Freder, padre del protagonista e padrone assoluto di Metropolis.
La mostra dal canto suo ripercorre nella sua ultima parte la storia della pellicola, dalla prima proiezione all’UFA Palast di Berlino fino all’attuale edizione restaurata.
Così, percorrendo la rampa del museo – dove è installata gran parte della mostra – si viene informati dei tagli della distribuzione statunitense e di quella tedesca; della ricostruzione tentata tra il ’69 e il ’72 dalla Staatliches Filmarchiv della DDR; della comunque già celebre versione rock del 1984 di Moroder; del restauro digitale avvenuto tra il 1998 e il 2001; dell’importanza generale che hanno materiali extrafilmici come la sceneggiatura, la partitura della colonna sonora e le foto di scena per la ricostruzione più precisa ed esatta possibile di una determinata pellicola.
Tutto ciò fino all’ultima edizione, quella proiettata giovedì 4 ottobre, ottenuta grazie al ritrovamento della copia integrale al Museo del Cine Pablo C. Ducrós Hicken di Buenos Aires.
In definitiva, la mostra risulta particolarmente interessante non solo in quanto apre un discorso importante sul restauro e sulla memoria cinematografica, ma anche perché pone un problema storico e forse ancora attuale: le modalità di distribuzione cinematografica.
Come sottolinea Bertetto nel saggio inserito nel catalogo della mostra (Metropolis, il laboratorio del futuro) e nel suo libro Fritz Lang Metropolis (ed. Lindau, 2001), i tagli subiti dal film sono dovuti alle esigenze della distribuzione di rendere più omologati e commerciali possibili i prodotti cinematografici di quegli anni, eliminando il materiale ritenuto narrativamente superfluo e, quasi di conseguenza, più innovativo e sperimentale.
Così, la mostra e la proiezione illustrano quanto il kolossal di Fritz Lang risulti – per i tagli subiti e i successivi restauri – un testimone involontario sia di un certo tipo di distribuzione cinematografica che della volontà di memoria fortunatamente presente tra cinefili e restauratori.
(di Juri Saitta)