Federico Brugia è forse oggi il più conosciuto regista pubblicitario nazionale, uno dei pochi le cui “campagne” (per Mercedes, per Bmw, per assicurazioni generali…) superano i confini e diventano internazionali, uno con un suo stile, che riconosci, nella scelta delle facce, delle atmosfere, del ritmo, uno, insomma che porta la pubblicità ad essere arte e il pubblicitario ad essere legittimamente un autore.
Dentro il pubblicitario Federico, però, lotta per uscire fuori il cinefilo. Il sogno suo, come di tanti sodali, è il cinema. Facile dire che la maggior parte dei colleghi, quando hanno varcato la soglia hanno deluso, spesso prigionieri della loro raffinatezza e dei loro ghirigori espressivi, perfino dei mezzi notevoli che la pubblicità mette a disposizione per i pochi secondi di prodotto.
Due secondo me le aree di sofferenza più frequenti, pur se non ineluttabili, della categoria, quando si confronta con il moloch di un film: il rapporto con la narrazione e quello con l’attore inteso come principale veicolo della precedente.
Federico si è concesso un regalo: ha investito parte dei guadagni della professione, che sono buoni ma non permettono di acquistare squadre di calcio, anche perché come direbbe Corrado Guzzanti: “C’è grossa crisi” ed ha prodotto e diretto un suo film: “Tutti i rumori del mare”, facendosi aiutare dall’amico e regista di successo (ed ex pubblicitario) Luca Lucini, e da una solida compagnia di produzione Ungherese, Laokoon, che ha collaborato con molte produzioni internazionali che spesso sono approdate a Budapest e dintorni.
Ne è venuto fuori un film nobile ed elegante, rarefatto, del tutto anomalo per le nostre contrade, la storia di un corriere di anime, che trasporta ragazze dall’est all’Italia per portarle allo sfruttamento e che sente crescere dopo l’incontro con un’ultima “vittima” il peso dei ricordi, dei rimorsi ed il nulla insostenibile di cui si è circondato. E’ un racconto di perdizione e riscatto ammantato di noir che tralascia, per amore o per forza il plot e le sue simmetrie e indaga un piccolo nucleo di anime perdute, riuscendo secondo me a penetrarle e a trasmetterne la crescente, intollerabile sofferenza, il vuoto, infine il dolore. Thriller esistenziale come è stato definito, che pure lascia spazio ad un finale aperto e speranzoso in cui il mare finalmente, dato che il film si svolge in una Ungheria fredda e nuvolosa, copre tutto con i suoi (dolci) rumori.
Il film è uscito a fine agosto, poche copie e buone recensioni, cercate di recuperarlo. C’è un cast di sconosciuti o quasi tra cui emerge il volto Pirandelliano di Sebastiano Filocamo, qualche cameo, Malika Ayane, che è da poco la signora Brugia e che ha pure regalato al film alcuni pezzi musicali davvero belli, il fantastico Mimmo Craig, ancora in forma, una apparizione ironica di Rocco Siffredi che a Budapest vive (e lavora…).
In più alcuni straordinari professionisti del posto, tra cui merita menzione Orsola Toth già vista in film da festival spesso meritevoli.
Tutte facce giuste in una sceneggiatura piena di suggestioni che, dimenticavo, assieme
al buon Federico, ho scritto io.
(di Giovanni Robbiano)