Deauville: vince “Beasts of the Southern Wild”

Benth Zeitlin

Benth Zeitlin

La giuria della 38 edizione del Festival del Cinema Americano di Deauville, presieduta da una solare ed affascinante Sandrine Bonnaire, ha assegnato il Grand Prix a Beasts of the Southern Wild diretto da Benh Zeitlin, già vincitore del premio FIPRESCI e della Caméra d’Or al Festival di Cannes e del Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival.

Il film, che l’interminabile applauso del pubblico del C.I.D. (Centro Internazionale di Deauville) al termine della proiezione aveva già proclamato vincitore, è una sorta di parabola sulla fine del mondo. E’ un film di genere incerto, è una storia dal realismo poetico, drammatica e fantasy che si svolge nella Louisiana meridionale, a pochi chilometri da New Orleans, in quell’area paludosa del Delta del Mississippi, il bayou, dove il più grande fiume degli Stati Uniti termina nel Golfo del Messico. Lì, nelle “terre umide”, prima che gli abitanti delle “terre secche” costruissero la grande diga, viveva una comunità di persone le cui radici affondavano nella palude, abitavano in baracche e si nutrivano di granchi, gamberi, polli, coccodrilli.

Gli occhi dello spettatore vedono esseri umani indigenti che vivono al di sotto della soglia della povertà in una zona insalubre, in realtà si tratta di persone che non sentono la necessità di possedere le cose e che, nonostante le trasformazioni, non vogliono lasciare il luogo dove hanno sempre vissuto, un luogo ostile eppure bellissimo, dove l’orrore e il meraviglioso coesistono. Sono solo bestie tra altre bestie, tutte legate dallo stesso destino, da un “cuore che batte nello stesso modo e pone le stesse domande”. E’ qui che vive Hushpuppy, voce narrante ed eroe della storia: una bambina di sei anni forgiata come un guerriero da un padre che la nutre ma non la accudisce, un padre violento eppure, a suo modo, apprensivo, che grida, beve e lotta contro i padroni della terra civilizzata che vorrebbero allontanarlo dalla sua casa. La temperatura del pianeta sale, i ghiacciai si sciolgono, gli uragani sono sempre più violenti, la diga impedisce all’acqua salata di defluire e così ogni cosa è destinata a morire. La fine del mondo è vicina. Hushpuppy ha un sentire innocente, profondo e immaginifico, sa che la fine del mondo arriva ogni giorno, per ogni creatura che muore, che ognuno di noi è soltanto una piccola parte del tutto e che ogni giorno, anche se non qui, anche se non per noi, tutto ha un nuovo inizio. Si sente forse l’influenza di Terrence Malick, ma in Zeitlin il lirismo appare più ingenuo e quindi più vero.
Il Premio della giuria è andato a Una Noche di Lucy Mulloy, frutto di una coproduzione tra America, Regno Unito e Cuba. Girato con attori non protagonisti in un’Avana decisamente squallida, tra cucine di ristoranti per turisti, case povere e prostitute malate di AIDS, il film racconta la storia d’amore che coinvolge tre giovani cubani e il loro drammatico tentativo di raggiungere Miami con tanto di squalo assassino.

Il Premio della critica internazionale è stato assegnato a The We and the I di Michel Gondry. Un film corale, girato quasi interamente all’interno di un bus che attraversa il Bronx per riportare a casa un gruppo di studenti al loro ultimo giorno di scuola. Un microcosmo fatto di violenza, soprusi, solidarietà e amore. Mentre il bus avanza nel suo viaggio e i passeggeri scendono alle varie fermate, le relazioni tra coloro che restano si fanno più intime e più vere: la maschera di arroganza a poco a poco cade e la persona appare. Riuscire a coinvolgere lo spettatore per un’ora e quaranta minuti tenendolo chiuso all’interno di un bus non era un’impresa semplice ma, a parte qualche piccolo cedimento, possiamo dire che Gondry ci sia riuscito.

(di Antonella Pina)

Postato in Festival, Numero 99.

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