In principio fu Dan Curtis, il re dell’horror televisivo americano tra gli anni ’60 e ’70, l’autore ricordato anche dai cinefili per film come Ballata macabra o La casa dei vampiri. Nel 1966, Curtis s’inventò una serie tv che s’intitolava Dark Shadows e parlava di personaggi enigmatici, dal passato misterioso, invischiati in vicende sempre spiazzanti e sorprendenti. Nelle prime puntate, la serie – in bianco e nero – non ottenne molto successo. Ma poi cominciarono ad arrivare sempre più personaggi fantastici, nel ’67 si passò al colore, e quella che Curtis si ostinava a chiamare una “soap opera” (vampiresca) divenne un autentico fenomeno di culto, nello spirito camp che andava affermandosi in quegli anni.
Quando terminò, il 2 aprile 1971, aveva alle spalle oltre milleduecento episodi, perché – visto il successo – la rete ABC l’aveva subito trasformata da settimanale in quotidiana. Ed aveva ispirato anche un film uscito nelle sale, La casa dei vampiri (House of Dark Shadows, 1970), diretto ovviamente da Dan Curtis, che vi sfoggiava la sua mescolanza weird di fantastico e di ironia, horror e sentimento “soap”. Naturalmente, il protagonista del film era la star della serie: il vampiro Barnabas Collins, interpretato da Jonathan Frid, che dopo aver fatto un po’ di vittime si presenta nella famiglia Collins spacciandosi per un cugino inglese. E lo spirito era quello agile tipico di Dan Curtis, in cui sfociava tra ammiccamenti autoreferenziali l’ondata horror anni ’60, prima di venir travolta dalle truculenze splatter del decennio successivo.
Quella soap vampiresca aveva incantato tra gli altri anche Tim Burton, che all’epoca aveva una decina d’anni, e che adesso s’è tolto lo sfizio di riportarla sullo schermo, reinventandola ovviamente a modo suo. La vicenda del suo Dark Shadows affonda le radici a metà del ‘700, quando la famiglia del piccolo Barnabas si trasferisce dall’Inghilterra agli Stati Uniti in cerca di fortuna. Vent’anni dopo, Barnabas è diventato ricco, brillante e potente, ma commette l’errore di sedurre una giovane strega, che lo trasforma in un vampiro e lo seppellisce vivo. Quando riemerge dalla tomba, due secoli dopo, Barnabas si ritrova così nell’America del 1972…
«La serie mi ha colpito quando ero adolescente – dice Burton – Mi sentivo come se non mi adattassi al mondo, per cui questo tipo di strano vampiro, questo essere anomalo, questa non-persona, ha avuto un impatto forte su di me» dice Tim Burton. E aggiunge: «Non l’ho mai considerato davvero un film di vampiri. E’ solo un film con un personaggio che è un vampiro… Agli studios non piace sentirlo dire, ma per me è tutto una specie di esperimento. E’ una commedia? E’ un dramma gotico? E’ entrambe le cose? Non l’ho mai pensato in questi termini. Perché è più un film sul tentativo di cercare la vibrazione giusta, in un modo strano, melodrammatico, da soap opera… Ho fatto qualcosa che non posso classificare. Nonostante tutte le streghe, i fantasmi e i vampiri, è un dramma familiare, la storia di una famiglia che ha smarrito la sua strada, e di Barnabas che ricorda a loro chi sono».
Barnabas è l’ennesimo eroe burtoniano sospeso tra la vita e la morte, estraneo a chi lo circonda, gentile e pericoloso, vittima e mostro al tempo stesso. Non a caso ad interpretarlo è il solito Johnny Depp, che manco a dirlo sostiene di essere stato da ragazzino un fan della serie tv. Eva Green è invece Angelica, la strega vendicativa, mentre Helena Bonham Carter è la dottoressa Julia Hoffman e Michelle Pfeiffer è Elizabeth Collins Stoddard, la matriarca interpretata nella serie tv dall’ex-star hollywoodiana Joan Bennett.
Ma belle sorprese arrivano anche dai ruoli di contorno, dove spicca il grande novantenne Christopher Lee, ultimo mito vivente dell’horror classico, il Dracula dei film Hammer: per lui, c’è il ruolo di Bill Malloy. E poi ci sono Alice Cooper nella parte di se stesso, oppure i camei di protagonisti dell’antica serie tv, a cominciare da Jonathan Frid.
Il film uscirà in Italia l’11 maggio, in contemporanea con gli Stati Uniti e praticamente con il resto del mondo. Ma Dark Shadows è solo il primo appuntamento del 2012 con Tim Burton. A ottobre uscirà infatti anche Frankenweenie, remake del cortometraggio realizzato da Burton ad inizio carriera, nel 1984: una geniale rilettura della storia di Frankenstein e della sua creatura, che è un po’ uno dei miti-chiave di tutto l’universo gotico di Burton. Protagonista, un bambino che cerca di riportare in vita il suo cagnolino morto in un incidente, e si ritrova tra le mani un cane dallo sguardo indifeso e dai comportamenti incontrollabili.
Ventotto anni fa, Frankenweenie fu il film che fece conoscere l’universo poetico e struggente di Tim Burton, oltre al suo personalissimo rapporto con la dimensione grafica. Ottenne una nomination all’Oscar e favorì l’esordio del regista nel lungometraggio con Pee Wee’s Big Adventure (1985) e Beetlejuice (1988), ma venne anche bollato dalla censura con un marchio “PG” (minori solo accompagnati da genitori) che ne impedì la carriera commerciale. Adesso, il nuovo Frankenweenie costituisce un esempio di animazione stop-motion in bianco e nero e in 3D, e raggiunge un pubblico che già conosce capolavori animati burtoniani come Nightmare Before Christmas o La sposa cadavere.
E non è finita. Perché tra Dark Shadows e Frankenweenie è in arrivo un altro film targato Burton. Si tratta di La leggenda del cacciatore di vampiri, è scritto dallo sceneggiatore di Dark Shadows Seth Grahame Smith a partire da un suo romanzo ed è diretto dal russo Timur Bekmambetov, il regista di I guardiani della notte. L’idea di base è che Abrahm Lincoln, il presidente degli Stati Uniti, era in realtà un indefesso cacciatore di vampiri, diventato abolizionista quando scoprì che gli schiavi venivano utilizzati come carne da macello dai vampiri… Le immagini del trailer fanno per ora pensare a un film molto più legato a Bekmambetov che a Burton, il quale figura solo come produttore: uscita prevista, giugno negli Stati Uniti, fine agosto in Italia.