12 dicembre 1969, ore 16.37. Una carica di tritolo sventra la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana, nel cuore della Milano che conta. Un attimo dopo la deflagrazione 14 vite non ci sono più (altre tre si aggiungeranno di lì a poco), 90 persone scoprono di essere ferite in modo gravissimo e un intero paese di aver perso per sempre la propria innocenza.
A 42 anni di distanza da quello che, insieme alla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, resta l’attentato più grave e sanguinoso della tormentata storia italiana di fine millennio, Marco Tullio Giordana ha avuto finalmente il coraggio di dedicare un film a un evento che non solo sconvolse le coscienze dei contemporanei, ma che probabilmente dette la stura a una stagione di sangue e violenza poi sfociata nella notte del Terrorismo e durata venti lunghi anni.
Per un film come questo ci voleva coraggio. Coraggio perché in 42 anni la giustizia ha invano cercato di fare luce sul più contorto dei misteri nostrani, inseguendo invano piste diversissime per poi scoprire ogni volta di aver sbagliato strada o di doversi arrendere di fronte alla volontà cieca di insabbiamento da parte di quelle forze oscure (autentiche serpi in seno che lo Stato stesso era del tutto ignaro di aver allevato all’interno del proprio corpo) che davano il meglio di sé nel clima di disagio generale creato dalle bombe e dal loro devastante strascico sociale. Ma coraggio anche perché la strage di Piazza Fontana è per molte famiglie una ferita che non si è mai rimarginata, convertendosi in beffa quando le prescrizioni intervenute negli anni hanno costretto i familiari delle vittime costituitisi parte civile a pagare le spese processuali di 33 anni di processi finiti nel nulla.
Il film di Giordana – significativamente dedicato a quanti persero la vita quel pomeriggio di sangue – ricostruisce in maniera accuratissima un arco cronologico compreso tra i disordini di piazza dell’autunno del 1969 (il cosiddetto autunno caldo) e l’assassinio del Commissario Calabresi, giustiziato sotto casa da due militanti di Lotta Continua il 17 maggio del 1972. Basandosi sugli atti processuali relativi ad anni di sterili indagini, ma anche sull’ormai sterminata bibliografia dedicata da storici e studiosi al luttuoso evento (tra gli ultimi e di certo utilizzati ci sono Il segreto di Piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli, Il noto servizio di Aldo Giannuli nonché la ricostruzione romanzesca ma ben fatta de Il romanzo di Piazza Fontana di Vito Bruschini), Giordana e i fidi Stefano Rulli e Sandro Petraglia hanno scelto di offrire al pubblico una ricostruzione a 360° non solo dell’episodio in sé e per sé e degli infiniti strascichi processuali, ma anche il clima arroventato di un paese sospeso tra le aspettative di rigenerazione sociale create dalla stagione di entusiasmi del ’68 appena trascorso e le paure di chi paventava che quell’ansia di cambiamento potesse trascinare l’Italia in un caos sinistrorso senza ordine e garanzie per nessuno.
Un’impresa questa in parte improba perché la strage di Piazza Fontana è davvero una vicenda troppo densa per poter esser compressa in 130 minuti di cinema ad alta tensione civile e morale. Non è infatti un caso che alla fine anche chi ben conosce fatti e fattacci legati a questo intricatissimo mistero all’italiana rischi di sentirsi smarrito al veder comparire di continuo personaggi nuovi, necessari però a dare volti e nomi alla fitta tela di misteri che ancora lo avvolge. Ma Giordana, fedele da sempre a un’idea di cinema capace di informare il pubblico mescolando con intelligenza impegno di denuncia e volontà di creare uno spettacolo visivo in grado di intrattenere, ha anche qui adottato la stessa formula a lui cara della pedagogia per immagini che prenda per mano lo spettatore portandolo a spasso per le pagine più buie di vicende intricatissime senza però mai perdere di vista le regole dello spettacolo.
Ecco quindi la ricostruzione minuziosa e filologicamente correttissima di ambienti, facce, atmosfere antropologiche e culturali accanto alla reinvenzione fantastica di realtà che la Storia vera non avrebbe forse mai accettato vista la ruvida durezza dei tempi: il Commissario Calabresi del suo film (che giganteggia come un complesso ma disincantato anti-eroe anche grazie a un Valerio Mastandrea ormai giunto finalmente a piena maturazione di attore) ha una sensibilità fin troppo moderna per uno sbirro di quegli anni, così come il suo rapporto con l’anarchico Pinelli – altro personaggio chiave dell’intera vicenda – ha un che di romantico e cameratesco che le tensioni barricadere dell’epoca non avrebbero nemmeno permesso di immaginare.
Ma il titolo stesso del film – pur facendo esplicito riferimento a quello di un celebre articolo pubblicato da Pier Paolo Pasolini nel 1974 sul Corriere della Sera (Cos’è questo golpe? Il romanzo delle stragi) e incentrato sulla sua impossibilità di denunciare autori e mandanti della strage per mancanza di prove pur conoscendone benissimo nomi e cognomi– sembra anche alludere implicitamente a questa possibile relazione tra la Storia vera e la sua dolorosa verità e la possibilità che un cineasta la ripercorra reinventando l’animus di quanti ne furono i protagonisti. E Giordana, che non è né Francesco Rosi né tantomeno Elio Petri, sceglie proprio di concentrarsi sulla ricostruzione attenta degli eventi, evitando di prendere posizione in maniera molto netta (se si eccettua lo sposare nel finale il teorema della doppia bomba innescata quel fatale 12 dicembre in Piazza Fontana), come se stesse illustrando l’intricata vicenda a chi non ne abbia la minima conoscenza, offrendo invece un ripasso doloroso e completo a chi senta il bisogno morale di affrontarlo.
Tutto questo non va però a detrimento di un film che alla fine – anche grazie a un cast superlativo diretto come di rado accade di vedere in Italia – appare assolutamente necessario nella sua volontà di risvegliare un sussulto di coscienza civile in un popolo da troppi anni abituato ad accettare passivamente mostruosi deragliamenti etici quali lo stragismo e l’impunità concessa da infiniti depistaggi, connivenze, coperture, menzogne e falsità a quanti ne sono stati gli orchestratori nell’ombra.
(di Guido Reverdito)