Doveva cambiare il modo di fare cinema in Italia. E invece si ritrovò emarginata, boicottata e uccisa nel giro di pochi anni. Adesso, però, qualcuno si è preso la briga di ricostruire, documenti alla mano, la storia della leggendaria “Cooperativa Spettatori Produttori Cinematografici”, nata nella Genova del 1950 sullo slancio degli ideali partigiani per realizzare film al di fuori dei condizionamenti del mercato, dei governi, dei meccanismi industriali. Un cinema che voleva arrivare dal basso, da spettatori appassionati e militanti pronti a finanziare le pellicole che volevano vedere: ma dopo aver realizzato Achtung! Banditi e Cronache di poveri amanti, entrambi diretti da Carlo Lizzani, la Cooperativa fu costretta a sciogliersi, rinunciando a realizzare uno dei molti sogni per le strade nell’Italia del dopoguerra.
Come uccidere un’idea (ed.Le Mani, 352 pp. + ill., 23 euro) s’intitola adesso il libro che Eligio Imarisio ha dedicato all’argomento, dopo i due volumi che lo stesso autore ha realizzato su Achtung! Banditi! e Cronache di poveri amanti. Com’è noto, la Cooperativa nasce attorno a Gaetano “Giuliani” De Negri e Giuseppe Dagnino, due ex-partigiani che vogliono proseguire nel dopoguerra la loro battaglia con le armi della cultura. Raccolta l’adesione dell’ANPI, della Lega delle Cooperative e di tante associazioni di lavoratori, viene finanziata da semplici spettatori, operai, portuali, tranvieri, sindacalisti e liberi professionisti, dei quartieri popolari e di quelli borghesi.
Grazie alle ricerche dell’avvocato Alessandro Ghibellini, l’ex-pallanuotista, figlio di quell’Annibale Ghibellini che era stato uno dei promotori, il libro fa chiarezza sull’atto di nascita e sui vari spostamenti della Cooperativa. L’atto costitutivo fu stipulato dal notaio Boggiano il 30 ottobre 1950, le prime sedi si trovavano al 40 di via XX settembre e in via D’Annunzio 2, poi nell’edificio littorio di via Gallino a Pontedecimo (ora abbattuto) durante la lavorazione di Achtung! Banditi!, quindi a Roma, davanti a Porta Pia. E i soci fondatori comparsi davanti al notaio erano undici: i giornalisti Tullio Cicciarelli (“Il Lavoro”) e Kino Marzullo (“L’Unità”), il chirurgo Aldo Podestà, Giuseppe Dagnino e Gaetano De Negri, Enrico Ribulsi, Annibale Ghibellini, Franco Venturini, Gastone Duse, Antonio Chessa, Manlio Leonardi.
Il volume di Imarisio riporta anche gli articoli di giornale relativi alla presentazione ufficiale del progetto, quando una domenica mattina (25 giugno 1950) Massimo Girotti, Lamberto Maggiorani, Carlo Lizzani, il sindaco Gelasio Adamoli e tanti altri vennero all’Universale di Genova completamente stipato: le cronache dicono che centinaia di spettatori furono costretti a restare fuori. Sul perché e quando la Cooperativa ebbe termine, dopo aver prodotto appena due film, si intrecciano poi considerazioni più complesse. Ufficialmente avvenne nel 1961, di fatto già a metà degli anni ‘50. Un episodio decisivo fu l’incendio e il fallimento (1956) della Minerva Film, che distribuiva i due titoli. Ma una causa determinante fu l’impedimento governativo ad esportare Cronache di poveri amanti, subito dopo il successo ottenuto al festival di Cannes: impossibilitata a vendere all’estero i suoi film, la Cooperativa veniva di fatto condannata al fallimento. E tra le concause – ricorda Lizzani – ci fu anche il rifiuto di Togliatti, che durante un incontro col regista aveva detto di non essere interessato ad aiutare finanziariamente produzioni che alla fine sarebbero risultate targate P.C.I., mentre era meglio per la Cooperativa “navigare in mare aperto”.
Nelle sue 350 pagine, il volume curato da Imarisio raccoglie documenti, testimonianze, fotografie, saggi di diversi studiosi (Marino Biondi, Paolo Arvati, Camilla Toschi, lo stesso Imarisio) sul contesto culturale dell’epoca. Ma tra i documenti più ghiotti del dossier spiccano le “veline” della Direzione Generale dello Spettacolo, rimasta nelle mani di un ex-fascista come Nicola de Pirro. In una nota contraria alla realizzazione di Achtung! Banditi! si osserva la non opportunità di riportare sullo schermo la guerra partigiana e le azioni dei nazisti a causa della nuova collocazione internazionale della Germania, sottolineando come, nonostante non ci siano cenni sull’appartenenza politica dei partigiani, “la particolare forma mentale dei personaggi consente di individuarli chiaramente come comunisti”. Il benestare alla produzione venne così rifiutato, e solo in un secondo tempo il film fu accettato, anche perché – si notava – erano state attenuate o espunte alcune delle scene non gradite.
Oltre che una ricostruzione della famosa Cooperativa genovese, il libro di Imarisio fornisce così spunti istruttivi su cosa fosse la censura nell’Italia degli anni ‘50, e su quanto fosse difficile la vita di chi voleva realizzare film non allineati. Alcuni dei protagonisti di quell’esperienza continuarono comunque in altro modo la loro battaglia cinematografica. A cominciare da Carlo Lizzani, che sta per compiere 90 anni. O Giuliano Montaldo, che rievoca in un semplice ma significativo aneddoto il suo impatto con l’ambiente romano. “Partito da Genova, – ricorda Montaldo – appena sceso dal treno telefono a un signore che lavora in una importante produzione cinematografica. Gli devo consegnare la lettera di un amico genovese. E’ una lettera di raccomandazione. Ottengo l’appuntamento: ‘Domani alle 9, al Caffè Rosati’.
Il giorno dopo, con largo anticipo, sono in Piazza del Popolo, ma il locale ha le serrande abbassate. Attendo. I minuti passano, sempre più lenti. Il caffè è sempre chiuso. Dopo un’ora si alzano le serrande e io entro per telefonare, deluso e imbarazzato, a quel signore. Mi risponde, è ancora in casa. Divertito, mi sfotte: Alle 9 del mattino? Ma da dove viene? Da noi, le 9 sono quelle di sera!”.
(di Renato Venturelli)