L’attore teatrale incontra il pubblico del “Nickelodeon” per raccontare e spiegare gli aspetti più interessanti e curiosi del film di Andrea Segre.
Venerdì 10 febbraio al Nickelodeon si è tenuta la proiezione del film Io sono Li con successivo intervento di uno dei suoi attori e produttori: Marco Paolini.
Il lavoro in questione, distribuito ad ottobre in poche sale e per pochi giorni, è una delle pellicole italiane meno viste ma più interessanti degli ultimi mesi.
L’opera, ambientata a Chioggia, racconta la storia d’amicizia tra una cinese che lavora in un’osteria e un pescatore croato naturalizzato veneto.
Il regista Andrea Segre – esordiente nel lungometraggio di finzione ma già autore di diversi documentari (si veda ad esempio Come un uomo sulla terra, 2008, co-diretto con Dagmawi Yimer e con la collaborazione di Riccardo Biadene) – affronta temi importanti quali l’emigrazione, i rapporti umani tra “diversi” e gli insormontabili muri della provincia in modo poetico e amaro al tempo stesso, grazie anche alle ottime performance dei protagonisti e alla suggestiva fotografia di Luca Bigazzi.
L’intervento di Paolini a proposito del cast internazionale fa subito venire in mente i temi sociali affrontati dal film, soprattutto per quanto riguarda la protagonista Zhao Tao, la quale «è un’attrice molto conosciuta in Cina e ha dimostrato una grande disciplina nel suo lavoro, basti pensare che dal momento che non sapeva l’italiano ha dovuto imparare le sue battute a memoria collegandole ai suoni e agli ideogrammi cinesi. Inoltre, al di fuori dalle riprese, bisognava parlarle attraverso un traduttore. Il problema della lingua rendeva così la solitudine e lo smarrimento del suo personaggio più veri, perché provati in parte dall’attrice stessa durante la realizzazione del film. C’era inoltre un problema di tempo, in quanto il permesso di soggiorno dell’attrice aveva una scadenza ben precisa, entro la quale doveva assolutamente tornare in Cina» racconta l’attore.
Se la vicenda di Zhao Tao si collega perfettamente alla storia del film, il caso del protagonista maschile Rada Sherbedgia è altrettanto curioso e significativo, in quanto l’attore dell’ex Jugoslavia è «molto attivo in produzioni hollywoodiane, sia in film d’azione che in opere d’autore, come Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick. Infatti, Sherbedgia era già impegnato in altri set: quello di un capitolo di Harry Potter e quello del primo film da regista di Angelina Jolie (In the Land of Blood and Honey). L’attore si doveva quindi assentare qualche giorno in modo di alternarsi tra il nostro piccolo film e le mega produzioni di Hollywood» spiega Paolini.
I casi dei due protagonisti, oltre ad avere un collegamento piuttosto evidente con il film di Segre, fanno capire le diverse difficoltà incontrate dal regista e dai produttori durante le riprese. Così, è risultato interessante ascoltare il racconto di Marco Paolini a proposito della genesi del film, collegata in qualche modo alla sua attività teatrale: «da anni faccio teatro con la Jolefilm, una società indipendente che ho co-fondato e con la quale abbiamo anche finanziato alcuni documentari di giovani registi. È così che abbiamo conosciuto Andrea Segre. Dopo aver girato con la nostra casa un documentario (Il sangue verde, 2010), l’autore ci presentò un soggetto di due pagine, di per sé semplice, ma già più complesso perché trattasi di una fiction. Infatti, non avevamo la certezza di riuscire nell’impresa, ma infine abbiamo realizzato il film come co-produttori insieme alla società francese Æternam Films».
Inoltre, «Andrea Segre non aveva mai lavorato con degli attori e così, prima d’iniziare le riprese, abbiamo fatto un mese di prove» anche perché «non tutto il cast era composto da professionisti, infatti, per alcuni ruoli minori hanno recitato anche i pescatori del posto».
Naturalmente, la curiosità del pubblico è andata anche per l’interpretazione di Paolini: quanto il suo lavoro come attore teatrale ha influenzato la sua performance cinematografica? «Nessuna. Meno facevo Marco Paolini e meglio era» risponde l’attore, che narra di essersi imbarcato su una nave prima delle riprese, in modo da calarsi meglio nella parte del pescatore amico del protagonista.
Come scritto precedentemente, Io sono Li non è solo un film sull’emigrazione e sui rapporti tra persone di culture diverse, ma risulta anche una descrizione della provincia, in questo caso quella veneta, con i suoi muri e le sue chiusure, le sue paure e le sue diffidenze. La domanda del pubblico è così sorta spontanea: come ha reagito la comunità di Chioggia? «Nella cittadina il film è stato visto da 7.000 persone e in molti si sono sentiti distanti dal lavoro di Segre» spiega Paolini, che aggiunge: «non sempre essere vicini a una cosa ti aiuta a metterla in luce nel modo giusto».
Il film, comunque, brilla di una luce particolare, una luce certamente poetica, delicata e dolce, una luce che però allo stesso non nasconde, ma che anzi chiarisce e mette in evidenza l’amara realtà sociale dell’emarginazione, dei pregiudizi e della chiusura mentale dell’Italia contemporanea.
(di Juri Saitta)