Prendete un bel racconto di Richard Matheson già convertito in immagini nel lontano 1963 per un episodio de “Ai confini della realtà”. Affidatelo al regista del dittico di “Una notte al museo” chiedendogli di impreziosire il copione con abbondanti citazioni di nobili film di boxe e strizzate d’occhi ai grandi cartoon nipponici che a metà anni ’70 invasero le TV nostrane. Affidatevi a una coppia del calibro di Spielberg e Zemeckis in qualità di produttori esecutivi chiedendo loro di trovare un budget di oltre 100 milioni di euro e di servirvi su un piatto d’argento una star del livello di Hugh Jackman cui affidare il ruolo del protagonista. Alla fine avrete due ore e passa di buon cinema nel quale la tecnologia va a braccetto con la volontà di raccontare una storia coinvolgente per grandi e meno grandi (quella di un ex pugile che, ormai sul viale del tramonto nell’imperversare di un nuovo modello di boxe in cui a combattere sono automi radiocomandati, ha la grande occasione di rientrare nel giro che conta allenando alla tecnica del guantone uno di questi mostri di acciaio, e al contempo di rimettere insieme i cocci di una vita andata a male). Senza che la sindrome da “Transformers” lasci mai prevalere la frigida dittatura della grafica computerizzata a scapito del gusto di servire una vicenda che mette al centro del proprio narrare la crisi di un individuo e la sua ferma volontà di non cedere di fronte alla disumanizzazione dell’esistenza.
(di Guido Reverdito)
Real steel
(Usa/India, 2011) di Shawn Levy, con Hugh Jackman, Dakota Goyo