Una delle cose belle che mi derivano dall’età non più verdissima e dalla lunga consuetudine di lavoro con il mondo del cinema romano è avere molti amici.
Alcuni di questi sono cresciuti esponenzialmente, fin da quando erano studenti, e sono diventati il cinema, quello magari povero, magari non nobilissimo come quello dei maestri di una volta, ma il cinema di adesso; quello che si va a vedere.
Tra costoro metto Roan Johnson, che conosco da almeno una decina di anni, tanti da essere stato testimone di tutti i tentativi e i passaggi che creano un autore.
Roan penso si divertirebbe dell’evocazione di un piccolo corto amatoriale, non riuscitissimo, realizzato con altri amici, allora miei studenti, in Versilia, che si intitolava, ricordo benissimo: “i danni del liberismo”.
Lo hanno visto in pochi, anzi pochissimi, ma era la prima volta per lui e per altri. Da allora naturalmente è passato molto tempo, e molto quel gruppetto è cresciuto: c’è stato un corto collettivo poco visto, ma piacevolmente amaro, sul mondo del calcio, 4-4-2 in cui Roan dirigeva l’episodio per me più bello (sono di parte, era scritto dai miei due amati ex-studenti e suoi ex colleghi di “liberismo” Michele Pellegrini e Francesco Cenni) : “il terzo portiere” con Valerio Mastrandrea, e poi, oltre ad altre sceneggiature, tra queste: “Ora o mai più” e la bella serie rai “Raccontami” era arrivato l’anno scorso un romanzo agile e leggero per Einaudi: “Prove di felicità a Roma est“. Un esordio letterario assai ben accolto.
E adesso, infine, ecco il lungometraggio, scritto con Davide Lantieri (altro amico…) e basato su una di quelle vicende di tipica epopea toscana: si dà che nel 1970 a Pisa tre tipi abbiano inscenato una fuga in auto culminata con la richiesta d’asilo politico in Austria per sfuggire ad un imminente (ricordiamo il golpe Borghese e i molti omissis della nostra storia recente…) golpe alla greca che li avrebbe perseguiti.
In realtà il fatto è accaduto ed ha avuto tre protagonisti in carne ed ossa, il film infatti segue pari pari la vicenda: è il primo giugno 1970, Claudio Santamaria, ergo Pino Masi, autore di inni di lotta politica come “la ballata del Pinelli” (proprio il vero Masi, all’epoca cantautore politico di buon seguito negli ambienti della sinistra militante) è suggestionato da un consiglio ricevuto: dormire fuori casa per tre-quattro giorni in vista dell’imminente golpe di destra.
Così coinvolge due suoi giovani ammiratori, il Lulli ed il Gismondi, per dirla alla toscana a fuggire verso l’amica repubblica Yugoslava a bordo della A112 della famiglia del primo… Perché? Perché intellettuali ed artisti sono appunto i primi della lista delle prossime epurazioni.
Durante il viaggio un equivoco tragicomico: i militari in sosta all’autogrill per raggiungere Roma, dove si prepara la sfilata del due giugno, sono scambiati per le avanguardie del colpo di stato. Spinti così da un misto di paura e desiderio, nostalgia e speranza di inventarsi una nuova vita i tre, percorrendo strade alternative, raggiungono il confine, ma qui l’eccesso di militari e mezzi bellici li spingerà a cambiare il piano e tentare di consegnarsi ai più democratici austriaci.
Democrazia? oh, c’è nato Hitler lì, come commenta il Gismondi in una delle molte riuscite battute del film, un nuovo equivoco con i frontalieri italiani che sospettano per via del loro atteggiamento… sospetto, causa una esilarante fuga a piedi verso l’agognata Austria, ed un incidente diplomatico: i militari italiani per inseguirli sconfinano armi in pugno oltre confine. Ci sono altre peripezie, finchè i tre capiranno che l’Italia sonnecchia tranquilla (o quasi…) non c’è nessun golpe e soprattutto con crudele contrappasso tutti a Pisa li aspettano per prenderli per il culo…
Roan ha raccolto l’aneddoto e ne ha fatto un film fresco, con interpreti sconosciuti o quasi a parte il leader, tutti al loro posto ed in gran spolvero. Un film che fa centro dove pochi riescono: raccontare anni tra i più cupi della storia d’Italia, con ironia, leggerezza e affetto. C’era riuscito forse solo Monicelli anni ed anni fa: con più ferocia e naturalmente più immediatezza: “Vogliamo i colonnelli” era del 1973 e in quegli anni già fioccavano le pallottole… Il tempo addolcisce i ricordi e ci fa guardare con simpatia ad anni in verità terribili come lo sono per modi diversi quelli che viviamo…
Di certo si è persa passione politica e candore. Roan ci restituisce la nostalgia dell’uno e il rimpianto dell’altro. E bravo Roan. E bravi tutti…
(di Giovanni Robbiano)