Dieci i titoli in concorso per la 21.ma edizione del Noir in Festival di Courmayeur, la manifestazione consacrata alla letteratura e al cinema nero/giallo e affini: erano quasi tutti film in anteprima assoluta per l’Italia, e il livello medio è stato decisamente buono. Ma quel che più ha colpito è il fatto che al centro delle pellicole ci fosse l’oggi, e in particolare il momento attuale della crisi del mondo del lavoro e della finanza internazionale. A cominciare dal film d’apertura, l’americano Margin Call, di J.C. Chandor, impreziosito da un cast stellare (Kavin Spacey, Jeremy Irons, Demi Moore, Stanley Tucci) che descrive, romanzandola, la Storia recente. Il giorno prima della crisi finanziaria del 2008, i dirigenti di una banca di investimento di Wall Street vengono informati da un giovane analista entrato in possesso di una chiavetta con file riservati, che l’Istituto è destinato nel giro di poche ore al fallimento. Tra istanze etiche e cinismo di chi pensa solo al proprio tornaconto, i protagonisti di questo dramma si troveranno a decidere come evitare il collasso: Margin Call racconta il tentativo di un piccolo gruppo di personaggi che stava al centro della crisi senza rendersene conto e che quando ne ha preso coscienza era ormai troppo tardi.
Ci è piaciuto molto ed è valso il premio per la migliore interpretazione a Jean-Pierre Darroussin (l’attore feticcio di Robert Guedigan, per intenderci), il francese De bon matin di Jean-Marc Moutout. Il regista sceglie di partire dalla fine, e cioè dal momento in cui il cinquantenne protagonista, bancario, che si occupa della gestione dei piccoli clienti, fa il suo ingresso nella sala riunioni della Banca e spara a due dei suoi superiori. Il perché di quel gesto estremo è spiegato attraverso la rivisitazione della sua vita, utilizzando una serie di suggestivi e mai banali “avanti e indietro” nel tempo della narrazione. Il lavoro sul montaggio è ottimo, la capacità di raccontare la storia, nonostante la fine sia nota, è egregia. E poi quell’uomo che investe tutta la vita sul lavoro e la carriera e si trova, suo malgrado, con un pugno di mosche in mano, è la storia i tanti uomini e donne del nostro tormentato presente.
E passiamo al trionfatore di questa edizione, il norvegese Hodejegerne di Morten Tyldum, insignito del primo premio (il Leone Nero). Rispetto agli altri, è il film più “ di genere”, un thriller classico che gioca con la suspense dall’inizio alla fine. Ciò che conta è però il contesto su cui si innesta la vicenda narrata. Ancora una volta, la ricerca spasmodica del potere e del denaro che non basta mai. Il protagonista è un tagliatore di teste, bravo nel suo lavoro che, per “arrotondare” e viziare sempre più la bella moglie, si inventa un secondo mestiere , come ladro e ricettatore di opere d’arte. Lo spettatore non si annoia mai, viene sorpreso da continui colpi di scena, fino ad un improvviso ma opportuno happy end.
Vogliamo inoltre dar conto dell’omaggio reso dal festival all’autore britannico Stephen Frears, di recente premiato con il premio alla carriera dagli Oscar europei. Era presente in carne ed ossa nella cittadina valdostana e ha dialogato in modo schietto e diretto con il pubblico. Ha raccontato una serie gustosissima di aneddoti, dagli spunti che sono all’origine dei suoi lavori, alle sue passioni, fino al metodo usato per dirigere (spesso benissimo) i suoi interpreti. A parte l’incontro, i selezionatori hanno proposto sul grande schermo due opere, che testimoniano il feeling di Frears con il genere e le atmosfere noir. Stiamo parlando del televisivo – e da noi inedito- Fail Safe (A prova d’errore), bianco e nero girato in presa diretta, remake del film di Lumet del 1964. Siamo in piena guerra fredda e il regista orchestra uno splendido esercizio di stile con un manipolo di attori eccellenti (George Clooney e Harvey Keitel su tutti) e tensione da tagliare con il coltello: da recuperare assolutamente. Grande piacere è stato infine rivedere Gumshoe (Sequestro pericoloso), commedia nera di Frears degli anni ’70, atmosfera e spirito british, con un detective memorabile al centro dell’intreccio.
(di Alberto Marini)