Un film “per”, e non “su” Pina Bausch: sembra un sofisma, eppure in questa distinzione c’è tutto il senso della nuova opera di Wim Wenders. Pina 3D è infatti il capitolo postumo di un’amicizia nata trent’anni fa e interrottasi nel 2009, con la scomparsa della celebre coreografa tedesca. Trent’anni di progetti abortiti, per un incontro tra talenti concretizzatosi tardi, nelle modalità di un documentario atipico che coinvolge il corpo di ballo del Tanztheater Wuppertal in un’alternanza di coreografie filmate (su palchi, deserti e scenari urbani) e testimonianze.
Viaggio nel teatro e nella mente di un genio della danza attraverso le sue creazioni più suggestive, ma anche tentativo di sfruttare la tecnica stereoscopica a scopo espressivo, il film rappresentava una doppia sfida rischiosa. Sfida però vinta grazie ad un 3D mai fine a sé stesso, capace di valorizzare e definire questo fluire vorticoso di musica, parole, danza e paesaggi, in cui l’omaggio alla Bausch si intreccia con la perimentazione estetica dando vita ad un risultato ammirevole- il più rilevante nell’itinerario di Wenders dai tempi di Buena Vista Social Club.
Sospeso tra la dichiarazione d’amore e l’elegia, Pina 3D è un piccolo capolavoro di dinamismo cinematografico, ma, soprattutto, il ritorno di un autore che sembrava aver smarrito la strada da troppo tempo.
(di Massimo Lechi)