Due titoli così diversi come Diaz di Daniele Vicari, che denuncia le violenze e soprusi in occasione del G8 del 2001, e Cosimo e Nicole di Francesco Amato, film musicale sull’amore fra due giovani insegnanti, in comune hanno sia l’ambientazione genovese, sia i drammatici fatti del tristemente noto summit internazionale, in occasione del quale Cosimo (Riccardo Scamarcio) e Nicole si conoscono, per poi rincontrarsi nel capoluogo ligure cinque anni dopo.
Marta Maffucci e Emita Frigato, scenografe rispettivamente di Diaz e di Cosimo e Nicole, ci hanno raccontato le loro impressioni in occasione dei sopralluoghi genovesi e le parti della città che vogliono evidenziare durante le riprese.
“A Genova giriamo gli esterni che ci permetteranno di raccordare con chiarezza i luoghi e i fatti della notte passata dai manifestanti alla scuola Diaz, e di fare da sfondo ai chroma key girati in Romania con il blue screen” – spiega la Maffucci – “La maggior parte delle riprese sono avvenute a Bucarest sia per una grande convenienza economica, sia per la difficoltà ad ottenere alcuni permessi, come quello di lavorare dentro la scuola Diaz, dove la ferita è ancora aperta e difficile da rimarginare. Abbiamo scelto la capitale rumena anche per via di alcune somiglianze architettoniche: se abbiamo dovuto ricostruire parte di via Cesare Battisti – la parte restante verrà aggiunta con effetti speciali tridimensionali – abbiamo anche utilizzato esterni somiglianti, come alcuni edifici davvero simili a quelli genovesi. La questura, ad esempio, è stata sostituita dal palazzo della stampa fatto costruire da Ceausescu durante la dittatura”.
Maffucci, che idea della città volete trasmettere?
“L’immagine sarà prevalentemente notturna, l’intenzione è quella di mostrare tutto quello che i media in quei giorni non hanno fatto vedere: la realtà dei fatti. Le montagne di detriti e di macerie nel quartiere della Foce dopo i vandalismi. La blindatura non solo della zona rossa, i tir con i container sulla sopraelevata. Tutti effetti ricostruiti digitalmente. La desolazione di una città abbandonata, la cui popolazione aveva presagito che qualcosa di terribile sarebbe accaduto”.
Marta Maffucci – che ha al suo attivo titoli importanti come Caro diario e Aprile di Nanni Moretti, Io sono con te di Guido Chiesa, Lezione Ventuno di Alessandro Baricco e i precedenti di Vicari Velocità Massima e L’orizzonte degli eventi, senza contare gli inizi di “assistentato” con autori come Luigi Comencini e Alberto Lattuada – è alla 68esima Mostra di Venezia con Ruggine di Daniele Gaglianone dal romanzo di Stefano Massaron, che narra le drammatiche violenze subite da un gruppo di bambini.
“L’ambientazione è quella della periferia di una metropoli degli anni ’70 – afferma la Maffucci – Inizialmente ho fatto una ricerca storica alla biblioteca universitaria di architettura; poi, per la prima volta, per i sopralluoghi mi sono avvalsa dell’aiuto di Google; a quel punto ho visitato i luoghi che mi sembravano più adatti per poi scegliere i dintorni di Taranto. Trovo che sia Gaglianone sia Vicari abbiano una sensibilità affine nel volere puntare il dito su alcune situazioni che esistono ma restano invisibili in un mondo dove si crede di essere sempre al sicuro”.
Emita Frigato ha iniziato giovanissima come assistente alla scenografia con registi come Sergio Citti, Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Gianni Amelio, Margarethe von Trotta, per poi lavorare come scenografa in film come Strana la vita e Amore in corso di Giuseppe Bertolucci, L’acqua e il fuoco di Luciano Emmer, Amen di Costa Gavras, Noi credevamo di Mario Martone, che le è valso un David di Donatello.
Di Genova come sfondo di Cosimo e Nicole dice: “È una città ricca di fascino ed estremamente versatile. Ho cercato di sottolineare la sua dimensione verticale, che si sviluppa nei suoi diversi strati: vie, strade sopraelevate, autostrade, ferrovie, importanti per il racconto legato al viaggio. Poi c’è la zona portuale e la Commenda, che rappresentano la parte lavorativa. E il centro storico con la sua multirazzialità. Mentre l’amore ha il suo apice nella casa sulle palafitte che abbiamo costruito a Varazze, in un luogo allo stesso tempo romantico, riservato e selvaggio. Visto che il periodo storico va dal 2001 al 2006 eliminiamo tutto ciò che al tempo non c’era: schermi al led, smartphone, e poco altro”.
Quale è la sua reazione quando rivede le sue scenografie sul grande schermo? Di sorpresa?
“Ci sono momenti in cui provo una grande emozione ma quasi mai sorpresa. Perché sul set si crea una forte sinergia fra il regista, il direttore della fotografia e lo scenografo: un dialogo continuo per raggiungere l’obiettivo che ci si era preposto. A volte, come nel caso del film di Amato, lavoriamo prima delle riprese su dei provini di materiali che poi utilizzeremo sul set. Questa volta dalle scelte del direttore della fotografia abbiamo capito i colori da utilizzare: siccome viene saturata molto la pellicola dobbiamo, ad esempio, evitare i bianchi che sparano troppo e stare attenti ai contrasti. Per mantenere delle dominanti bisogna quindi intervenire scurendo o accentuando certi toni”.
Dietro al suo film, Noi credevamo sui moti del Risorgimento italiano che dura tre ore, dev’esserci stato un lavoro davvero impegnativo di ricostruzione storica.
“È stato un lavoro immenso che è durato tre anni di preparazione e uno di girato con tante difficoltà produttive ed economiche. Ma è stato un impegno serio e molto disciplinato che è partito da una documentazione molto approfondita. Il set è stato altrettanto faticoso perché, come accade in televisione, si cambiava quasi un set al giorno. Tanti adattamenti ma anche ricostruzioni, come il Teatro dell’Opera di Parigi che è stato fatto a Cinecittà. Tanta fatica è stata ripagata, dopo l’uscita in sala, da una grande soddisfazione per il successo ottenuto”.
(di Francesca Felletti)