Nell’ultimo numero avevo risposto ad una lettera di Mauro Rimassa. Per motivi di spazio non ho risposto alla sua richiesta di fornire un parere sui premi Oscar. In particolare egli si riferiva alle ultime statuette assegnate nel 2011, ma mi limiterò a specificare quel che penso sull’argomento.
Nella prima edizione vennero assegnati due Oscar distinti, uno per il miglior film ed uno per la miglior produzione artistica. Dal 1929 si designò solo il miglior film con un’unica statuetta. Con l’andar del tempo venne completato l’elenco dei premi. Oltre a quelli per il miglior attore, la migliore attrice e il miglior regista, che esistevano sin dall’inizio, dal 1936 sino quasi ai giorni nostri vennero aggiunti molti altri premi specifici, compreso quello per il miglior film straniero che in realtà è il miglior film in lingua non inglese.
Per quanto ne so io il regolamento degli “Accademy Award” prevede due turni di votazione. Il meccanismo funziona così: i circa 6000 membri attivi ricevono schede di votazione e promemoria riguardante i film ammissibili al concorso per data di uscita. Dato che ogni socio è iscritto in una delle numerose specializzazione di appartenenza (regia, sceneggiatura, direzione della fotografia, scenografia, musica, montaggio, disegni animati, sonoro e montaggio del sonoro, eccetera) in una prima tornata egli vota per il migliore della sua categoria, con alcune eccezioni. Ad esempio nella categoria del miglior film tutti i membri hanno subito diritto di voto per scegliere i candidati alla vittoria. In una seconda votazione egli può esprimersi nell’ambito di quasi tutte le categorie. Si formano così le cosiddette “nominations”, che sono da tre a cinque, fra le quali sono scelti i vincitori, svelati soltanto la sera delle premiazioni. Come si vede è un regolamento di un tipo quasi “parlamentare” che riesce a consacrare i pareri della maggioranza, secondo un criterio rigidamente democratico. E’ ovvio che l’alto numero degli aventi diritto al voto e il carattere specialistico delle diverse categorie non garantiscono che tutti i soci riescano a vedere tutto, anche se credo che ultimamente ad essi vengano forniti DvD in tempo utile. E’ ovvio che il voto di categoria forma una iniziale base di schede in cui giocano in modo decisivo le diverse specializzazioni mentre un sapore più collettivo si riflette nei voti per il miglior film. Come si vede è un tipo di premio quasi sindacale, che sempre riflette le opinioni più diffuse nell’ambiente del cinema hollywodiano, ma che manca di quel carattere specificamente astratto pur essendo meno professionale, tipico delle giurie formate da critici. Non è un caso che un premio di categoria (ad esempio quello dei giornalisti specializzati di New York, Los Angeles e Boston) generalmente assegnato poco prima della consegna degli Oscar, finisca spesso con l’assumere un carattere ammonitorio ed indicativo.
E’ evidente che in presenza di un meccanismo così complesso e con un numero così alto di votanti, si comprendano le motivazioni di molti premi e in diversi casi l’assenza di film che con l’andare del tempo si riveleranno importanti ed a volte decisivi. Il che rende in certo modo fragili gli stessi Oscar ma, forse proprio per questa ragione e perché gli “Accademy Award” sono attribuiti nella patria stessa del Grande Sogno Cinematografico americano, essi sono divenuti un simbolo determinante nel mondo del cinema e dell’esercizio cinematografico. I premi in genere influiscono in modo notevole sugli incassi. Ad esempio in Italia, ma credo anche negli Stati Uniti, è un fenomeno corrente vedere che un film, ormai già distribuito nei locali e poco compensato dal pubblico, inaspettatamente vince un Oscar importante e viene immediatamente riproposto in uno o più locali con forte pubblicità specifica. Ecco perché, pur col massimo rispetto per i votanti che rappresentano in un certo senso la crema professionale del cinema americano, io tendo a non dar troppa importanza a questo premio. Che è più il frutto di una specifica tendenza collettiva di un mondo di professionisti più che quello di un meditato giudizio. Non è un caso che l’anno dopo l’assegnazione (accade anche con Cannes e Venezia) quasi nessuno ricordi più i titoli dei film premiati…
(di Claudio G. Fava)