La pelle che abito


la pelle che abitoMad doctors ed esperimenti scientifici, storie passionali, ossessioni sconvolgenti, corpi in continua mutazione. Pedro Almodovar ritorna con La pelle che abito, inventando uno dei suoi deliri cinefili, un melò accesissimo che si nutre di antiche mitologie horror e fantascientifiche. Protagonista, un chirurgo plastico (il solito Antonio Banderas) che continua da anni a sperimentare una pelle sintetica, perché ossessionato dalla morte della moglie in un incendio. Come se non bastasse, usa come cavia per i suoi esperimenti un ragazzo, colpevole di avergli violentato la figlia, stravolgendo giorno dopo giorno il suo corpo e la sua identità.

I riferimenti sono molto espliciti. La vicenda si rifà a un libro del francese Thierry Junquet (in Italia Tarantola, edito da Einaudi), la mitologia ci riporta più in generale a tutta una linea che va da Frankenstein a Darkman, guardando soprattutto al mitico Occhi senza volto, capolavoro di Georges Franju datato 1960. Ma, come al suo solito, Almodovar prende quei temi profondi che il grande cinema di genere, dalla serie A alla serie Z, ha sempre amato nascondere dietro una superficie puramente spettacolare, e li porta in piena luce. La pelle che abito diventa così un film sulla maschera e la mutazione, perché il cinema – tutto il cinema – è una superficie sottile, uno schermo, una pelle che nasconde e rivela sempre altre cose, altri corpi, altri desideri. Purissimo Almodovar, insomma.

LA PELLE CHE ABITO
(Spagna, 2011) di Pedro Almodovar, con Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa Paredes

Postato in Numero 94, Recensioni.

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