Il terrorismo islamico come prodotto del sistema politico ed economico occidentale, in una pellicola che punta tutto sulla sobrietà della messa in scena.
Al 68° Festival di Venezia è stato presentato fuori concorso l’ultimo lavoro del regista e sceneggiatore franco-marocchino Philippe Faucon: La désintégration.
L’opera narra la storia Alì, un giovane islamico residente in Francia che, non riuscendo dopo diversi tentativi a trovare lavoro, si rifugia nell’estremismo religioso, facendosi così convincere da un fanatico affabulatore a compiere un atto estremo e violento di terrorismo.
Con una trama e uno svolgimento come quelli descritti sopra il regista vuole dimostrare che la violenza e il fondamentalismo sono anche le conseguenze di una società che non offre prospettive lavorative decenti ai giovani, che li lascia in balia di un futuro incerto e precario, su cui non si possono pensare progetti a lungo o medio termine.
Quindi, secondo Faucon un certo fanatismo religioso e le conseguenze sanguinose che ne derivano provengono proprio dalle strutture economiche e politiche di quell’occidente che ogni giorno dice di voler combattere il terrorismo, ma che invece non fa altro che alimentarlo, “disintegrando” dal proprio sistema anche le persone che sono più inserite in esso, come sintetizza in maniera efficace il titolo del film.
Per accompagnare e sostenere tale tesi, il regista compone un ritratto piuttosto lucido e amplio della comunità araba, introducendo nella trama alcuni personaggi-chiave, come ad esempio quello della madre e del fratello maggiore del protagonista. La prima è una donna molto praticante e tradizionalista, intenta a mantenere i riti religiosi e le usanze islamiche, ma comunque non estremista e, a modo suo, piuttosto inserita nella società occidentale. Il secondo rappresenta invece il tipico emigrato completamente integrato, che pratica pochissimo la sua religione e che vive con una donna francese.
Questo ritratto lucido e apparentemente esaustivo dell’Islam in Europa trova un suo corrispettivo nello stile sobrio e misurato scelto dal regista. Infatti, il film non è quasi mai retorico, basti pensare che la musica è praticamente assente, la regia è a tratti fredda e distaccata e che la recitazione degli attori è molto sottotono, tutta giocata sul sottrarre invece che sull’aggiungere, mitigando estremamente anche i pochi momenti di pathos presenti nella vicenda.
Tale scelta risulta da un lato molto azzeccata, visto che temi così caldi, attuali e delicati potevano rischiare di far scivolare il film in un vortice retorico e banale, il quale non avrebbe aiutato ad affrontare questi argomenti in maniera minimamente lucida e approfondita, come invece fa la messa in scena di Faucon.
D’altra parte, però, tale sobrietà risulta talvolta eccessiva, tanto da privare l’opera di una qualsiasi intensità, rendendola in questo modo piatta e mai davvero coinvolgente e appassionante, colpa anche di un certo schematismo presente nella sceneggiatura, con dei personaggi un po’ stereotipati che sembrano esser presenti più per dimostrare qualcosa, che per narrare una storia.
Così, La désintégration risulta nel complesso un film certamente discreto e interessante, ma che non va mai veramente oltre il compitino ben fatto e realizzato.
(di Juri Saitta)
La désintégration
Titolo in italiano: La disintegrazione
Regia: Philippe Faucon
Cast: Yassine Azzouz, Kamel Laadaili, Rachid Debbouze
Sceneggiatura: Philippe Faucon, Eric Nebot, Mohamed Sifaoui
Paese: Francia
Genere: Drammatico
Durata: 81 minuti circa