Erano gli anni in cui tutti facevano film, come oggi i video (solo che eravamo in meno). Martino Oberto (1925-2011) con la giovane moglie Anna e l’amico Gabriele Stocchi, siamo all’inizio dei ’50, erano curiosi di Ezra Pound, il poeta maledetto di cui Guanda aveva da poco pubblicato i Canti pisani.
Giovani romantici, Martino e Anna erano venuti da Genova a Rapallo ed erano andati a cercare l’appartamento abitato per tutto il Ventennio dal poeta, una mansarda sul Lungomare. Lui era detenuto in un ospedale psichiatrico a Washington per le sue trasmissioni profasciste del 1940-43, indubbio sintomo di pazzia giudiziaria, ma a Rapallo c’era ancora il suo archivio, i mobili che aveva fatto con le sue mani, la biblioteca di cui si era servito per scrivere la sua storia del mondo e umana commedia, i Cantos. Fra le pile di carte c’era anche la sceneggiatura di un film sulla Marcia su Roma, Le fiamme nere, stesa da Pound e da Fernando Ferruccio Cerio, cineasta savonese nato nel 1904 su cui si potrebbe fare delle ricerche. Dunque Martino e Anna riuscirono a farsi aprire il sacrario della mansarda poundiana dove si erano soffermati almeno due premi Nobel più fortunati di Ezra, Yeats e Hemingway. Ne nacque un filmino 8mm, A proposito di Ezra Pound, musica di Vivaldi, immagini di coinquilini che sfogliano i libri del Grande Assente, alternate con scritte tratte dai Canti pisani. Gli Oberto presentarono il loro documentario nostalgico al Festival del Passo Ridotto che si teneva annualmente a Rapallo sotto Capodanno, e raccontavano che molti dei veri amici di Ezra (il popolino, non politici ed ex-repubblichini) erano accorsi commossi. Fra l’altro queste immagini hanno un interesse documentario notevole, perché di lì a poco la mansarda fu smantellata per essere affittata ad altri. Fu un errore cedere l’appartamento perché nel 1958 Ezra fu rilasciato e si ripresentò a Rapallo, in cerca di casa, e dovette ripiegare su un caseggiato moderno.
Fu appunto nel 1958, quando Pound sbarcò a Genova dalla “Cristoforo Colombo”, che Anna e Martino lo accolsero offrendogli un numero speciale della loro rivista d’avanguardia “Ana Eccetera”. Stavano infatti definendo le basi dell’Anaismo, una sorta di Dadaismo genovese in cui pensiero e arte confluivano in un clima di pseudologica materica. Martino, stimato restauratore di professione, stendeva manifesti di Anafilosofia e dipingeva grandi tele su cui scriveva formule. Cosa significassero lo sapeva lui. Contava il gesto. Di “Ana Eccetera” uscirono diversi numeri dalla circolazione riservata a pochi cultori dell’anarchia linguistica, poetica, artistica. Molto eleganti nel design, oggi oggetto di collezione, persino tradotti (ma come tradurre un non-pensiero?). Forse sullo sfondo c’era un rifiuto del conformismo degli schieramenti clericali e comunisti di quegli anni di passaggio all’inizio dei ’60. E a forza di scrivere su tela, Martino Oberto, che ormai si firmava OM (forse con riferimento alla sillaba sacra intonata dai santoni e dai loro seguaci alla Allen Ginsberg), passò o tornò alla pellicola, questa volta al 16mm. I suoi erano film-happening, oggetti trovati. Performance di artista visivo. Fra questi O botteto, cioè (in genovese) il saltello. Per una decina di minuti OM è fermo contro una parete bianca, poi negli ultimi secondi ci sorprende con un “saltello”, cioè un vero e proprio salto su due piedi. Questo, spiega nelle note, è il famoso salto dell’intuizione filosofica. O anche un gesto zen, minimale. Molto più ampio il Journal Anaphilosophicus del 1969, un “antifilm” di una cinquantina di minuti, con immagini a colori di vita di spiaggia, compagni di ricerca a spasso per Italia e USA (ci fu una mostra di arte visiva italiana a New York). Un giorno, si spera, questi documenti saranno religiosamente conservati in cineteca. Ma era un piacere parlare con Martino, sempre ospitale e generoso con chi come me si affacciava nel mondo della lettura e scrittura critica e filmica. Nel 1972, ero di partenza per un Fulbright a New York, mi regalò cinque o sei rulli di pellicola Gevaert 16mm colori scaduta, che usai per registrare le mie impressioni americane. Infatti nel 1967 era nata a Roma la “Cooperativa Cinema Indipendente”, e gli Oberto entrarono nell’elegante catalogo edito nel 1969 a cura di Gianfranco Baruchello. Anche questa era una performance d’artista. I film di OM sono come le schegge di una persona gentile che solo negli ultimi anni acquistò l’aspetto spiritato delle sue opere. Un aspetto molto simile a quello di ulivo scavato del suo maestro di sempre, lo zio Ez.
(di Massimo Bacigalupo)