I miei primi sottotitoli


claudio favaÈ UN AVVENIMENTO MINIMO ma, non so perché, me ne sono ricordato per tutta la vita (che ormai è lunghetta). Nell’estate del 1945 ero ormai sfollato in campagna vicino a Novi Ligure da almeno due anni e in quei primi mesi di fine della guerra assorbivo tutto a doppia velocità: soprattutto il sapore inebriante di miele delle sigarette americane (del danno mi sono accorto cinquanta anni dopo !) e, senza paura di bombardamenti, l’andar liberamente in bicicletta a Novi, con i suoi giornali nuovissimi ed i suoi ghiotti cinematografi (ora tutti scomparsi). Un pomeriggio vado appunto a Novi ed entro in un cinema, forse l’Iris. Mentre sono ancora mezzo dentro e mezzo fuori dalla sala, scosto una di quelle tende pesanti che usavano allora e odo una voce soffocata ripetere una strana parola: “Tughedèr, Tughedèr”. Entro evedo sullo schermo un attoreche parla in una lingua che non conosco (allora il “mio” idioma straniero era il francese) e leggo una parola sovrascritta: “Insieme ! Insieme !”.

Fu quello il mio primo, indimenticabile incontro con i sottotitoli al cinema. L’attore era Charles Boyer, la parola che diceva era “Together, Together!” che suonava vagamente milanese così come l’ho prima trascritta perché la pronunciava Charles Boyer, interpretando con il suo accento francese un avventuriero rumeno in cerca di una zitella americana da sposare per entrare negli Stati Uniti. Il film era “La porta d’oro” (Hold Back the Dawn, 1941) di Mitchell Leisen, al fianco di Boyer Paulette Goddard e Olivia De Havilland, il Morandini 2011 del mio amico Morando gli dà ben tre stellette, elogiando il protagonista e gli sceneggiatori Billy Wilder e Charles Brackett.

Dopo quasi 70 anni, eccetto la trama, ricordo tante cose e soprattutto l’emozione di quei sottotitoli mai visti prima, che mi aprirono un universo cinematografico ancora ignoto e che in Italia furono importati fino a tutto il 1945 dal benemerito PWB, il Psychological Warfare Branch anglo-americano (nel 1946 a Roma erano ripresi i doppiaggi ed, ovviamente, con la fine dell’occupazione l’esperimento non ebbe seguito).
Scopersi così il duplice piacere del cinema sonoro. Da un lato l’ingegnosa sovrapposizione delle voci nostrane a quelle originali, intarsiate in un altro corpo da attrici ed attori di straordinaria duttilità. Dall’altro il gusto letterario dell’immagine originale animata, se così si può dire, dal fiato primigenio di ogni personaggio, insieme alla voce, componente irrinunciabile della personalità di ognuno di noi. Affiancando così al piacere della lettura quello delle battute e dei rumori della presa diretta. Che è la regola per il cinema anglosassone e per quello di molte altre nazioni.
Come è noto il doppiaggio di fatto totale in uso in Italia è anche frutto, oltreché di una profittevole concessione ai gusti del pubblico, anche della legislazione fascista che di fatto proibì in modo esplicito di far udire al cinema lingue che non fossero l’italiano (decisione doppiamente paradossale in un mondo ancora largamente dialettofono: si spiega così la famosa battuta di Ennio Flaiano secondo cui l’italiano è la lingua in cui parlano i doppiatori).
Professionalmente ho diviso le due passioni: alla Rai ho commissionato migliaia di ore di doppiaggio e da 14 anni sono il direttore artistico del più noto Festival italiano del doppiaggio.
Come cinefilo ho sempre gustato l’emozione di cogliere insieme la parziale o totale traduzione scritta di un dialogo che contemporaneamente mi scaturisce nelle orecchie.
E tutto per merito di Charles Boyer e del cinema “Iris”.

(di Claudio G. Fava)

Postato in Liguria d'essai, Numero 94.

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