Contagion – Il male e la colpa


contagionDi ritorno da un viaggio nell’Estremo Oriente, Gwyneth Paltrow trascorre poche ore a Chicago in intimità con il suo ex-fidanzato, e poi torna in famiglia dove l’attendono il figlio e il marito Matt Damon. Il giorno dopo, l’adultera ha forti sintomi di malessere e in poche ore, quella che sembrava essere una semplice influenza, degenera sino alla morte. Anche suo figlio compie lo stesso tragitto letale, e casi simili iniziano a moltiplicarsi in tutto il mondo. Tosse, febbre alta, difficoltà di respirazione, decesso. I medici brancolano nel buio e, nonostante gli sforzi internazionali, non riescono a isolare la causa di una malattia che provoca ormai milioni di morti. La rabbia sociale si scatena: saccheggi, violenze, sospetti di privilegi, anche tentativi di speculazione più o meno consapevoli. L’interesse privato viola sovente quello che si chiama il bene comune e l’egoismo fa dimenticare a molti (anche a qualcuno dei “buoni”) quello che eticamente si chiama il bene comune. Poi, come sino a oggi è sempre accaduto, qualcuno riesce quasi per caso a trovare l’antidoto e tutto ritorna alla normalità, che lascia però dietro di sé una lunga scia di lutti. E’ solo a questo punto che Steven Soderbergh ci fa vedere la vera causa della pandemia: semplice, naturale, strettamente legata al ciclo dell’alimentazione. L’adulterio venato di nostalgia della Paltrow (la quale ritornerà sovente sullo schermo in flash-back) non c’entrava nulla. Era solo un “Mac Gaffin”, avrebbe detto Hitchcock. Ma Soderbergh lo usa esclusivamente come “incipit”, solo per avviare il discorso, senza poi sfruttarlo ai fini della suspense, la quale, in Contagion, nasce soprattutto dal ritmo incalzante del racconto, non dallo svolgimento delle singole situazioni. Ne consegue così un film molto disteso sul piano narrativo, arioso sia nelle “location” sia nelle soluzioni drammaturgiche, e che come tale si fa apprezzare. Un film il cui tema sociale, da allarme ecologico, nasce in modo diretto dall’articolarsi delle situazioni e dalla sapiente definizione dei numerosi personaggi, e non solo da una programmatica enunciazione ideologica. E’ in questo senso, che Contagion s’iscrive direttamente nella tradizione del cinema hollywoodiano classico, al quale Steven Soderbergh guarda con crescente simpatia, pur senza dimenticare mai le sue radici (Sesso, bugie e videotapes) nel cinema indipendente. Strutturato come un thriller e aperto a qualche incursione verso il genere horror (gli interni notturni e i dettagli autopsia o i volti agonizzanti), Contagion è un film che enuncia una grande consapevolezza tecnico-professionale, ma è anche qualcosa di più di una pellicola dall’ottima confezione spettacolare. Nei suoi fotogrammi, infatti, come del resto anche sul volto degli ottimi interpreti che compongono il suo cast internazionale, si può infatti facilmente leggere tutta l’amarezza della fine del tempo delle certezze. Tanto che il ripetuto rifermento all’epidemia di febbre spagnola del 1918 non suona solo come una citazione storica, ma anche come il segno della consapevolezza che un’epoca si sta concludendo, dell’affacciarsi su un futuro in cui tutti (scienziati, politici, giornalisti e gente comune) dovranno necessariamente interrogarsi sulle proprie responsabilità e sulla sopravvivenza stessa dell’uomo.

(di Aldo Viganò)

Contagion
(Contagion, Usa, 2011)
Regia e fotografia: Steven Soderbergh – Sceneggiatura: Scott Z. Burns – Musica: Cliff Martinez – Scenografia: Howard Cummings  – Costumi: Louise Frogley – Montaggio: Stephen Mirrione.

Interpreti: Gwyneth Paltrow (Beth Emhoff), Matt Damon (Thomas Emhoff), Marion Cotillard (dottoressa Leonora Orantes), Kate Winslet (dottoressa Erin Mears), Jude Law (Alan Krumwiede), Laurence Fishburne (Dr. Ellis Cheever), Elliott Gould (Dr. Ian Sussman).

Distribuzione: Warner Bros – Durata: un’ora e 45 minuti

Postato in Numero 94, Recensioni, Recensioni di Aldo Viganò.

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