Esce in Italia Carnage , il nuovo film di Roman Polanski acclamato al Festival di Venezia
All’indomani di una premiazione, al nome del vincitore assoluto è sempre affiancato quello di chi, secondo stampa e addetti ai lavori, è uscito sconfitto dall’agone festivaliero contro ogni previsione: il vinto di turno, la vittima impotente di complotti e veti incrociati.
Quest’anno, ad avere la peggio al Lido è stato proprio Roman Polanski, trionfatore annunciato costretto alla fine ad inchinarsi di fronte al Faust di Sokurov. Da Papa a cardinale in soli dieci giorni, quindi – senza neppure il beneficio di una passerella d’onore, vista la minaccia di estradizione negli Usa che limita i suoi spostamenti da anni.
E dire che Carnage, in uscita nelle sale italiane il 16 settembre, aveva tutto per ambire al Leone d’oro: un cast d’eccezione, dialoghi fulminanti e la maestria di un autore in grado di unire da sempre raffinatezza formale e deformazione grottesca, esigenze commerciali ed anticonformismo intellettuale. Alla base del film vi è infatti Le Dieu du Carnage, crudele piéce di Yasmina Reza che Polanski ha astutamente deciso di adattare nel più maniacale rispetto delle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione, dimostrando ancora una volta la sua predilezione per il kammerspiel claustrofobico d’ambientazione borghese.
La vicenda è tanto semplice quanto spiazzante: una rissa al parco tra due bambini porta le rispettive coppie di genitori, i Cowan (Kate Winslet e Christoph Waltz) e i Longstreet (Jodie Foster e John C. Reilly) ad incontrarsi nell’appartamento di questi ultimi per appianare il contrasto. Inizialmente all’insegna della cordialità, il tentativo di pacificazione naufraga presto in un mare di recriminazioni e battute acide, trasformandosi in un gioco al massacro “da salotto” tra individui repressi dalle convenzioni sociali, trincerati nel ruolo parentale ma in realtà incapaci di gestire istinti e frustrazioni. Una spirale, questa, che ricorda da vicino altri titoli del maestro polacco (Il coltello nell’acqua e La morte e la fanciulla, in particolare), e che non a caso ha mandato in visibilio critica e cinefili, conquistati dalla sua diabolica abilità nel costruire situazioni chiuse e senza via d’uscita, prigioni ammobiliate in cui gli attori si feriscono con crescente cattiveria verbale, il paradosso viene spinto all’estremo, e la demolizione delle certezze di personaggi e spettatori procede inesorabile tra bicchieri di whiskey, cellulari inopportuni, borsette volanti e schizzi di vomito; il tutto filmato con un’eleganza imperturbabile ed un ritmo quasi mozartiano che concilia il ghigno.
“E’ stato come lavorare a teatro” hanno intonato ammirati gli interpreti nel corso dell’affollata conferenza stampa veneziana, rievocando le due intense settimane di prove, le riprese e il grande assente: un regista che, a settantotto anni, ha ancora la capacità di far danzare la macchina da presa, disintegrare i tic della borghesia nello spazio di un tappeto e scatenare applausi in contumacia. Un regista che, con o senza Leone, ha ancora voglia di divertirsi alle nostre spalle.
(di Massimo Lechi)