“ So questo. Che la terra è un corpo celeste, che la vita che vi si espande da tempi immemorabili è prima dell’uomo, prima ancora della cultura, e chiede di continuare ad essere, e a essere amata.”
Il brano è tratto da Corpo Celeste, il libro che raccoglie gli ultimi pensieri di Anna Maria Ortese, da cui Alice Rohrwacher ha tratto ispirazione per il suo film dal titolo omonimo. Le gravi riflessioni della Ortese sull’estraneità dell’uomo a se stesso e al mondo che lo circonda sono servite alla Rohrwacher per mettere in scena una storia lieve: una commedia neorealista divertente e amara sul vuoto che sostiene la nostra vita, sull’assenza di Dio e sul grido disperato e furioso del Cristo: Eli, Eli, lama sabachthani?
Gli occhi che guardano la realtà, senza riuscire a comprenderla, sono quelli di Marta, una ragazzina cresciuta in Svizzera che a 13 anni torna a Reggio Calabria, la città in cui è nata, con la madre e la sorella maggiore. Marta è taciturna e introversa, sale sul tetto della sua casa per osservare la città, grigia nonostante il sole del sud e urbanisticamente devastata, come la periferia di un luogo eternamente in guerra. Frequenta il catechismo perché ha l’età per prendere la Cresima e diventare “soldato di Cristo”. L’insegnante di catechismo è Santa: segretamente innamorata di don Mario, tenta di spiegare ai ragazzi, con caparbietà e devozione, cose di cui non comprende appieno il significato. Don Mario è il parroco del quartiere: con molto pragmatismo recita il rosario su un tapis roulant, si aggira per le case riscuotendo affitti e portando la voce e l’immagine del politico di turno. La zia di Marta, la cui figlia da grande vuole fare la santa, cucina calamari ripieni per tutta la famiglia, facendo molta attenzione alla loro provenienza. Devono essere calamari dell’oceano perché, come ricorda ai suoi commensali gioiosamente riuniti a tavola, oggigiorno i pesci del Mediterraneo non si sa cosa possano mangiare: con tutti quei clandestini che annegano in mare!
Trattandosi di una rubrica di cucina, oltre che di cinema, il nostro interesse è rivolto prevalentemente ai calamari – grandi protagonisti di molte ricette della cucina mediterranea – e al loro triste legame con una delle più grandi tragedie dei nostri tempi.
Con la cinica consapevolezza che i corpi dei tanti clandestini annegati diventano, inevitabilmente, cibo per i pesci, proviamo a preparare i nostri calamari ripieni. Si tratta di una ricetta che appartiene a molti Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, e a molte regioni italiane. L’operazione di base consiste nel separare i tentacoli dalle sacche del calamaro (quattro calamari di circa quindici centimetri per due persone), riempire queste ultime con una farcia, chiuderle con uno stuzzicadenti o con del filo da cucina e farle cuocere in forno a 180° irrorate d’olio e vino bianco per circa 30 minuti, oppure nel tegame con una salsa di pomodoro. La difficoltà sta nella scelta della farcia e della sua giusta consistenza. Le ricette sono infinite, con risultati molto diversi tra loro. Quasi tutte prevedono di tritare i tentacoli e, dopo averli rosolati in padella con olio e aglio, metterli in una terrina con formaggio grattugiato (due cucchiai per quattro calamari a vostra scelta tra pecorino, parmigiano o caciocavallo a seconda della regione in cui vi trovate), prezzemolo, sale, un uovo e quattro cucchiai di mollica bagnata. Questi sono gli ingredienti necessari ed anche sufficienti per una buona farcia, magari con l’aggiunta di maggiorana e di due acciughe sotto sale. Ma le infinite ricette esistenti prevedono, oltre a piccole variazioni nell’operazione di base, l’utilizzo di altri ingredienti. Gli spagnoli aggiungono prosciutto affumicato, i greci riso, i provenzali verdure, i veneti gamberi e tonno sott’olio, i calabresi gamberi e branzino, i napoletani olive nere di Gaeta, alcuni liguri la mortadella……..
Dal momento che la storia di Marta si svolge in Calabria, abbiniamo un Cirò bianco.
(di Antonella Pina)