Si è conclusa venerdì 27 maggio al Cinema City di Genova la seconda edizione del Festival Nuovo Cinema Europa, con la proiezione di quattro cortometraggi italiani, la presentazione del mediometraggio documentario di Matteo Musso La sospensione (2011) e l’annuncio dei tre film vincitori: La vergüenza (premio della giuria), Renn, venn du kannst (premio del pubblico) e Qu’un seul tienne et les autres suivront (premio della giuria degli studenti).
Al di là delle valutazioni sull’assegnazione dei premi – che comunque potete leggere nelle singole recensioni – bisogna affermare che nel corso di questa rassegna non si sono visti capolavori o grandissimi film, anzi, il livello è stato complessivamente medio – basso.
Risulta, inoltre, difficile dire qual è stata la pellicola migliore del festival, in quanto non ce n’è stata una che è spiccata maggiormente delle altre per effettiva qualità artistica.
Forse sono tre le opere che possono rimanere più impresse nella memoria: Kolorado Kid per la moltitudine un po’ disorganizzata d’idee e citazioni; Qu’un seul tienne et les autres suivront per le buone performance dei protagonisti e una sceneggiatura senza buchi narrativi nonostante un soggetto complesso e vario (comunque non sviluppato appieno, si veda l’articolo apposito); Shahada per la potenza con cui tratta temi difficili e importanti.
Mettendo da parte il giudizio qualitativo, che tipo di cinema abbiamo visto in tale rassegna? Quali temi sono stati affrontati? E come?
Ebbene, in questo festival è stato presentato un cinema abbastanza classico, senza grandi ricerche stilistiche o formali, anzi, un tipo di cinema che non ha al centro del suo discorso il linguaggio da usare, quanto gli argomenti da trattare.
Infatti, quasi tutte le opere presentante avevano dei soggetti piuttosto forti, con tematiche importanti e attuali come l’emigrazione (Little Alien, Shahada, più indirettamente Qu’un seul tienne et les autres suivront), il rapporto tra la religione e il mondo in cui viviamo (di nuovo Shahada), la prostituzione (Complices), i rapporti famigliari, d’amore e d’amicizia (La vergüenza, Renn, wenn du kannst), ecc.
In tal senso, sembra essere un’eccezione Kolorado Kid, dell’ungherese Vágvölgyi, il quale affronta sì un tema come quello delle rivolte del 1956 contro la dittatura filo-sovietica, ma in maniera tutt’altro che approfondita e impegnata, tanto che trama e contesto storico sembrano più che altro una scusa per giocare alla Tarantino con il cinema, utilizzando diversi movimenti di macchina e realizzando una miriade di citazioni per omaggiare l’Hollywood classica, da Rapina a mano armata alla colonna sonora de Il terzo uomo, fino alle atmosfere più generali del noir e del film carcerario.
Kolorado Kid, anche se certamente poco equilibrato e coerente, sia dal punto di vista stilistico che narrativo, rappresenta la forza più vitale della rassegna, l’unica opera in cui si prescinde quasi del tutto dai contenuti (e questo non è detto che sia un bene) per discutere solo di cinema, anche se in maniera imperfetta e con risultati comunque discutibili.
Ad accompagnare tale eccezione ci sono, ma solo in parte, Complices, un giallo a tratti forse un po’ televisivo che affronta temi importanti all’interno di un cinema di genere, e Shahada, opera sui conflitti all’interno della comunità islamica in Germania con qualche piccola ricerca cinematografica abbastanza evidente (la fotografia cupa che rappresenta lo stato d’animo dei protagonisti e un ritmo appositamente lento per aggiungere intensità al film).
Anche se dalle schede si legge che diverse pellicole presentate hanno ricevuto riconoscimenti e candidature varie, sembra che le selezioni siano state fatte soprattutto sulla base dei contenuti, mettendo così in secondo piano il cinema in quanto tale.
Bisogna constatare, inoltre, il FNCE, probabilmente per problemi riguardanti il numero limitato di film da scegliere e di organizzazione in generale, ha dato spazio a poche nazioni, e sono mancate così cinematografie emergenti e importanti – ma ancora non molto conosciute – come ad esempio quella romena, dove solo pochi anni fa si è rivelato un autore come Cristian Mungiu, che ha realizzato un’opera dura e struggente quale 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (2007) e firmato, insieme ad altri giovani cineasti, l’ironica e amara tragicommedia ad episodi I racconti dell’età dell’oro (2009).
In ogni caso, il bilancio sembra piuttosto positivo, almeno perché il pubblico è corso numero in sala a vedere dei film inediti, in lingua originale e di registi per la maggior parte al loro primo lungometraggio.
Questo, a prescindere dalla qualità delle singole opere o dalle scelte degli organizzatori (discutibili in qualsiasi festival e rassegna), è di per sé un risultato molto buono per il cinema.
(di Juri Saitta)