Presentato al Bellaria Film Festival venerdì 3 giugno per il concorso Italia Doc, El Sicario Room 164 è una delle pellicole più interessanti viste nel corso della rassegna, certamente una delle più ambigue e criticabili, una di quelle opere ancora capaci di accendere dibattiti e discussioni, e che sicuramente non lasciano indifferenti.
Per circa un’ora e mezza d’intervista, un (ex) sicario racconta con il volto coperto la sua storia criminale e più precisamente del suo lavoro di sicario assoldato da dei narcotrafficanti al confine tra Stati Uniti e Messico.
Sulla base di questa struttura povera di ambienti (pochissime le inquadrature esterne), di personaggi e di azioni, l’autore ha costruito un film di circa un’ora e mezza che nonostante tutto riesce nella difficile scommessa di coinvolgere lo spettatore per tutta la durata, con ben pochi momenti di cedimento.
Certo, il tutto è aiutato dalle storie che racconta il killer, fatte da violenze varie, dalle uccisioni, alle torture fino agli stupri, le quali bastano quasi da sole a tenere alta l’attenzione del pubblico. L’autore e l’intervistato hanno, però, avuto anche un’essenziale, piccola e semplice idea di messa in scena: durante l’intervista, il protagonista disegna con un pennarello quello che racconta su un quaderno, il che rende il ritmo un po’ meno lento e statico del previsto.
Oltre a quella di coinvolgere il pubblico, Rosi è andato incontro ad un’altra sfida, ancor più interessante e difficile: entrare per un’ottantina di minuti nella mente dell’assassino, di conoscerlo da vicino, scoprendo non tanto la sua storia, ma quanto chi è, cosa pensa e, soprattutto, ciò che prova.
L’idea sulla carta era davvero interessante, ma non si può davvero affermare che sia completamente riuscita. Il volto coperto indossato dal protagonista non aiuta, in quanto non si può vedere il suo volto e capire bene le sue sensazioni. Deriva anche da questo il sospetto che il killer in alcuni momenti, soprattutto quando mima i fatti accadutagli, reciti una parte, finga le sue emozioni, ingannando così regista e spettatori. È vero, da un lato, che anche i modi un po’ finti, la sicurezza esibita e il tono spiccio fanno parte della sua personalità, ma tutto ciò non basta, da un’ora e mezza d’incontro, quasi di faccia a faccia tra pubblico e sicario, ci si aspettava una conoscenza maggiore e più profonda del soggetto ripreso.
È anche per questo che il film di Rosi trasmette talvolta la sensazione di essere un’operazione un po’ furbastra, la quale mira soprattutto a colpire lo spettatore trasferendo quelle che sono le storie tipiche di un gangster movie o di un film d’azione nel genere documentario, in una narrazione completamente diversa.
Inoltre, si legge nei titoli di coda che il film è ispirato ad un saggio di Charles Browden (anche sceneggiatore), intitolato The Sicario, facendo venire il dubbio che questo sia una fiction mascherata da documentario e che il protagonista non sia affatto un vero killer, ma solo un attore che interpreta una parte. Se quest’ultima opzione fosse vera, si confermerebbe e, anzi, aumenterebbe l’idea che la pellicola è un inganno, se pur affascinante e interessante, allo spettatore.
Al di là della sua discutibile qualità artistica, ritengo che sia un bene che El Sicario Room 164 sia stato presentato al Festival, in quanto è un film capace di far discutere e accendere dibattiti, una visione di cui comunque non ci si può pentire, sia che l’operazione sia complessivamente piaciuta, sia che invece abbia destato dubbi e sospetti.
Come avete potuto capire, personalmente ho avuto più di un’obiezione da fare all’opera, ma allo stesso tempo ne sono rimasto colpito e incuriosito, e non escludo affatto che siano gli stessi dubbi e le stesse perplessità ad aver contribuito al fascino complessivo della pellicola.
Juri Saitta
Regia: Gianfranco Rosi
Sceneggiatura: Gianfranco Rosi, Charles Browden
Anno: 2010
Genere: Documentario
Durata: 80 minuti circa