Il documentario dalla radio alla visione stereoscopica: una panoramica davvero completa?
Metti che un giorno di giugno con il tuo fedelissimo taccuino, la solita matita senza tempera, il coro di gruppo che scandisce il ritmo delle pedalate in bicicletta e la brezza marina che puntualmente d’accordo con il sole soffia l’aria di una tarda primavera, fai capolino a Bellaria Igea Marina. Scendi dal sellino della bici e con il programma sempre alla mano cerchi l’appuntamento cinematografico più allettante tra le vie adombrate dai grandi alberi che di turisti e di eventi romagnoli ne avrebbero da raccontare senza fine.
Incontro, workshop o proiezione? Questa la domanda che ha aperto e chiuso le quattro giornate di quell’antico Festival voluto da Morando Morandini quasi trent’anni fa, il Bellaria Film Festival che si è svolto dal 2 al 5 giugno nell’omonima località alternandosi tra la Biblioteca A.Panzini, il Cinema Teatro Astra, il Palazzo del Turismo e il Pjazza Club.
Difficile ma non troppo scegliere tra i sei Laboratori, i quattro appuntamenti tra eventi e incontri, le quattro rassegne e le ventisei pellicole, se si seguivano le linee guida suggerite dal programma quotidiano previsto dalle 8 del mattino sino alle 21 di sera.
Si inizia con la sezione Radiodoc, curata insieme a Radio3 e ad Audiodoc a cura di Elisabetta Parisi, dove i protagonisti sono i radio-documentari che nella suggestione dei rumori, dei suoni e delle voci originali si rivelano un potente veicolo di narrazione del reale. Ne costituisce un esempio su tutti quello firmato da Sergio Zavoli sulle suore di clausura (Clausura, 1958) il cui preambolo radiofonico letto dal grande giornalista costituisce una sorta di manifesto della rassegna. E ancora alla radio è legata la partenza del festival con la diretta dal Cinema Astra, nelle mattine del 2 e del 3 giugno, della trasmissione radiofonica più ascoltata e popolare d’Italia: Il ruggito del coniglio, condotta da Marco Presta e Antonello Dose che insieme agli altri autori hanno ideato Cortoconiglio, una competizione fra i brevi video recapitati alla redazione de Il Ruggito sul tema La prima ora dopo il risveglio.
In merito ai concorsi, cuore pulsante di ogni festival, la novità per quest’anno è stata la nuova denominazione per quello principale, Concorso Italia Doc che vede però l’obiettivo di sempre: fornire una panoramica del documentario italiano in tutte le sue sfaccettature con la presenza in giuria del popolare attore Giulio Scarpati.
Con la rassegna Panorama Internazionale si è voluto invece dare la possibilità al pubblico di assistere ad alcuni fra i più interessanti documentari stranieri dell’ultimo periodo, film in parte imperdibili e a volte candidati agli Academy Awards. Una possibilità che vede lo spettatore appassionarsi al destino dell’indecifrabile autista di Bin Laden (The Oath, L. Poitras, USA 2010), all’incredibile costruzione di un sito definitivo dove depositare scorie nucleari in Finlandia (Into Eternity, M. Madsen, Danimarca 2010), all’indagine sulla vera identità del più famoso graffitaro degli Stati Uniti (Exit Trough the Gift Shop, Bansky, Gran Bretagna 2009) e al lavoro di un gruppo di circa duecento uomini che ogni undici anni si ritrovano al largo delle coste del Perù a raccogliere il guano degli uccelli rischiando la vita (Guaňape Sur, J. Richter, Italia 2010). Una rassegna internazionale che ha annunciato
l’anteprima italiana di Love During Wartime (G. Dier, Svezia/Danimarca 2010) dalla trama tessuta sull’osteggiata e appassionata storia d’amore israelo-palestinese , accolta a pieni voti al Tribeca Film Festival solo poche settimane fa.
In linea alle precedenti edizioni non è mancato l’appuntamento con la storia grazie alla rassegna Le opere e i giorni dedicata al documentario storico, che quest’anno ha evidenziato, come doveroso nel 150° anniversario dell’unità d’Italia, la partecipazione di due film dedicati al Risorgimento e al processo di unificazione della nostra patria: Ma che storia (Italia,2010) di Gianfranco Pannone e Concerto Italiano (Italia, 2010) di Italo Moscati. Sempre con il tema storico si sono intrecciati parte dei contenuti in merito ai
nuovi linguaggi tecnologici, con la commentatissima proiezione del primo documentario italiano in 3D, Foibe (Italia, 2011) di Roberto Olla.
Nuove tecnologie di ripresa alla ribalta anche in BellariaDocLab con workshop guidati da Maurizio Carta per il Canon 5D e 7D, Tommaso Valente per il 3D, Manfredi Perrone e Manuel Masi per le tecniche di comunicazione nei social-media, Sergio Basso per la costruzione del web-documentario e Camillo Brena e Roberto Zammarchi per il complesso sistema Final Cut Studio.
L’Iniziativa dell’anno voluta dalla D.E-R.-Documentaristi Emilia Romagna, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura della Regione, si è concretizzata in Cibo per l’anima, una serie di spot autoprodotti da documentaristi e video-maker sulla cultura intesa come risorsa fondamentale per il benessere dell’intera collettività e come settore produttivo cruciale del nostro Paese.
Per concludere, arriviamo al Cinema dalla pellicola ancora in bianco e nero con la proiezione serale all’Astra di un documentario dedicato a un grande intellettuale, scrittore e sceneggiatore Flaiano: il meglio è passato (Italia 2010, B/N) di Stefano della Casa e Giancarlo Rolandi, con la partecipazione straordinaria di Elio Germano, preceduto da un incontro con una personalità che ha lavorato insieme a questo pescarese schivo e a suo modo scomodo, di cui è stato amico per molti anni: Enrico Vaime, scrittore e autore radiofonico, televisivo e teatrale.
Per la sezione Buon Compleanno, dedicata ai film che hanno fatto la storia del cinema italiano, il BFF ha avuto l’onore di celebrare in questa edizione il capolavoro di un insigne maestro cinematografico e al contempo documentaristico: Banditi a Orgosolo (Italia,1961,B/N) di Vittorio De Seta che spegne le 50 candeline dall’uscita e dalla premiazione al festival di Venezia come Migliore Opera Prima.
Si può infine definire davvero riuscita la 29esima edizione del Bellaria Film Festival?
Purtroppo solo in parte e solo a metà.
Certo, gli elementi interessanti non sono mancati, da qualche documentario proiettato (in particolare Into Eternity del danese Michael Madsen), alla grande attenzione per le varie forme, cinematografiche e non solo, per documentare la realtà (3D, Crossmedia e la sezione Radio doc), cosa che, indipendentemente dal giudizio sulle singole proposte (personalmente le prime due citate non ci convincono affatto), in un festival come questo risulta positiva e necessaria.
Ciò che è mancato maggiormente in tale edizione sono però le proiezioni mattutine, le quali permettevano di avere più film nei vari concorsi, di aprire retrospettive interessanti (ad esempio, nella 27esima c’è sono state addirittura due, una dedicata allo sconosciuto cinema cubano e l’altra alla carriera di Julien Temple) e magari di proporre qualche replica, il che in un programma vasto risulta utile.
Inoltre, riteniamo piuttosto curioso il fatto che con un ospite come M. Frammartino non si siano proiettati i suoi due lungometraggi, Il dono e Le quattro volte (in buona fede si può pensare che non ci siano state le possibilità, però quello di Bellaria è un festival abbastanza grande per permettersi di presentare due pellicole in più).
Probabilmente il direttore Fabio Toncelli, pensando di attrarre maggiormente i giovani, ha dedicato troppo spazio ai diversi workshop, trascurando un po’ il programma cinematografico (cosa che in un festival di film risulta piuttosto grave).
La 29esima edizione del BFF ha vissuto così di una grande contraddizione: per tratteggiare una panoramica completa sul documentario, dalle vecchie alle nuove tecnologie, ha proiettato meno film, ottenendo il risultato opposto, quello di una rappresentazione in realtà piuttosto povera dell’attuale quadro documentaristico nazionale e internazionale.
Così, sembra che Bellaria sia stata una rassegna più vicina e utile agli addetti ai lavori (che magari volevano aggiornarsi sui nuovi mezzi e le nuove tecnologie, come il 3D, i cross media, le Canon 5D e 7D, appunto) che al pubblico.
A causa di tutto ciò, la sensazione che si ha alla fine della rassegna è quella di un festival un po’ zoppicante a livello contenutistico, con pochi film (di cui alcuni ingiustificabili, come ad esempio L’altra rivoluzione: Gorkij e Lenin a Capri, più vicino ad un prodotto televisivo che cinematografico) e senza il fermento, la vivacità anche un po’ polemica che aveva fino a due anni fa.
Forse perché noi, cresciuti a pane ed empatia, una volta scesi dal sellino della nostra bici e preso posto al tradizionale Cinema di Bellaria eravamo pronti a emozionarci senza troppi occhialini 3D che a volte, se adattati a contenuti sbagliati, possono azzerare proprio quella terza dimensione che porta il nome di profondità. E forse le basi di tale affermazione le si possono ritrovare nella materia prima del genere documentario, in quella sua fonte di energia semplice ma inesauribile, in quella sua forza misteriosa che alimenta quotidianamente in gran segreto l’essenza di una parola divenuta un po’ miope dalla confusione dei giorni d’oggi: la realtà.
(di Chiara Accogli e Juri Saitta)