Una Tavola rotonda di insurrezioni immaginarie
Se l’obiettivo del progetto Contra el Silencio ha incontrato la volontà di restituire voce e luce a volti e fatti archiviati nel buio della memoria o messi in sordina dall’informazione quotidiana, non poteva mancare la presenza di un dibattito aperto con registi e neo-documentaristi autori di produzioni indipendenti. Lunedì 11 aprile, durante la seconda giornata del Festival, presso la sala Agorà del Teatro della Tosse, nella prima parte del pomeriggio si sono alternati in una Tavola rotonda alcuni racconti di esperienze cinematografiche e sociologiche per poi lasciare il posto al secondo grande tema della rassegna dedicato alle carceri. Dal dialogo e dalle proiezioni di frammenti visivi, si sono delineati scenari e dinamiche di grande valenza antropologica e sociale, quali: l’affermazione della propria identità in un gruppo di appartenenza, un fenomeno religioso sincretico di confine come simbolo di rivalsa delle classi subalterne, un archivio dei movimenti civili per salvare dall’oblio la storia e per colmare il vuoto della città, la testimonianza delle ragioni di una ribellione contro la violenza e l’apartheid, la storia di una passione per un mestiere antico e controcorrente alla logica del mercato globale.
É la voce di Lemnaouer Ahmine, nato a Setif, in Algeria e arrivato a Napoli nel 1994 a narrare quella che lui stesso definisce “la mia storia da migrante e regista”. Uno straniero che alla domanda “Lei, di che nazionalità è?” si è sentito rispondere “Tu, torna al tuo posto”. Un “diverso” che in quanto film-maker, ha fatto della telecamera lo strumento di mediazione tra se stesso e i protagonisti della pellicola, i Latin King, figli di immigrati sudamericani e tra quest’ultimi e gli spettatori. Spiegato con sue parole “è la macchina da presa a delineare l’impercettibile soglia di posizionarsi dentro e fuori ciò che si racconta, un mezzo per instaurare un rapporto di fiducia e empatia tra i corpi presenti dietro e davanti l’obiettivo; un nastro girato nella Nazione dei Re (2009), dove a ogni gesto corrisponde un simbolo, all’azione di uno la risposta di tutti. Perché qui, ai margini della società, in quel complesso sistema di inclusione-esclusione al Paese d’arrivo, è il gruppo a restituire un’identità perduta e il sistema espressivo multimediale a donare una condivisione del vissuto e del girato post-totale”.
Curioso è l’incontro seguente con l’Opificio Ciclope, casa di produzione nata nel 1995 che realizza nei mesi di ottobre e novembre 2006 il progetto Santa Muerte, iniziato nel 2005. “Una pellicola non commissionata che tra le vie di Città del Messico testimonia la devozione in un credo sospeso tra sacro e profano, praticato tra riti e un proprio mercato, vissuto tra storie di crimini e potere”, come afferma uno dei suoi partecipanti.
“Un vero work in progress dove la ricerca di studio per la “Signora delle Ombre” delinea uno squarcio sulla cultura messicana religiosa e sociale ai limiti del reale.
Si ritorna poi in Italia con l’Archivio dei Movimenti, Associazione genovese di promozione sociale, con la voce di Gianfranco Pangrazio, reporter e documentarista, autore di Genova. Autobiografia del Sessantotto (2010). Dalle sue parole emerge “l’importanza di ricordare la storia, in particolare gli anni del ’68 e ’77, panorami di rivoluzioni sociali e politiche e la necessità di laboratori per produrre conoscenze, per un’indipendenza nel fare e nel costruire, per la fusione del soggetto-oggetto del racconto, per la capacità di coinvolgere per e nel produrre”.
Ed è sempre il territorio italiano lo sfondo delle ultime due pellicole. É la volta di Rosarno. Il tempo delle arance (2010) di Nicola Angrisano dal canale Insu^tv, Telestreet da Napoli a evidenziare come “la telecamera pare essere l’unico mezzo possibile per dare voce ai tanti braccianti africani impegnati nella raccolta degli agrumi e sottoposti a disumane condizioni di lavoro”. Uno scatto fotografico di trenta minuti per “restituire giustizia a chi è stato considerato braccia prima di essere uomo, per lasciare un segno indelebile di un evento destinato a tacere nel silenzio delle istituzioni o nel dimenticatoio della memoria pubblica”.
A concludere il cerchio della Tavola rotonda sono le voci di due giovanissimi neo-documentaristi, Stefania Tugliani e Lorenzo Martellacci, con Pescoi de Utri. Artigiani del mare (2011), provenienti da Scienze della Comunicazione dell’Università di Genova.
Due voci fresche e sensibili che hanno messo in pratica le nozioni apprese dal Corso di Discipline dello Spettacolo e dal Modulo formativo dell’audiovideo, tenuti entrambi dal Dott. Diego Scarponi, il quale sottolinea “l’occasione rara di avere a disposizione spazi e strumenti all’interno di un’Università pubblica e la forte motivazione dei ragazzi che una volta seguito il Corso sono poi lasciati liberi a sperimentare l’attività audiovisiva in occasioni organizzate quali GenovaFilmFestival, Progetti dedicati al Territorio e all’Ambiente e in tutto ciò che desiderano fare di propria iniziativa”. Una vera “officina creativa” il Laboratorio audiovisivo Buster Keaton, dove lo spirito di gruppo e il clima familiare che vi si respira, la totale dedizione e grande umanità del suo responsabile, ha condotto i due ragazzi in tutto l’iter della loro esperienza di cinema diretto vissuta in una notte di settembre in compagnia della cooperativa GI.BI, ultima famiglia di pescatori genovesi di Voltri legati all’antica e tradizionale pesca con la lampara.
“Il nostro è stato un work in progess. Con le telecamere del Laboratorio ci siamo trovati su una lampara a vivere e riprendere la passione di un mestiere vittima delle cannonate della globalizzazione. Tutto è partito da quella sera”, sono le semplici parole con le quali i neo-registi si raccontano. Una pellicola nella quale attraverso immagini poetiche e voci fuori campo s’incrociano le storie di un’unica passione: per i propri luoghi e per la propria attività, artigiani del mare o della creatività. In fondo, filmati e filmanti sono uniti dallo stesso coraggio, dalla stessa determinazione, dalla stessa voglia di coltivare giorno dopo giorno l’amore in ciò che si crede, la vocazione in ciò che si è o si scopre di essere.
Argentini, napoletani, messicani e genovesi. Sono queste le testimonianze degli autori che hanno firmato le proprie produzioni indipendenti, le proprie insurrezioni immaginarie.
(di Chiara Accogli)