E’ passato alla storia come Mr. Quatermass, perché ha diretto i primi due film del ciclo, quelli che hanno aperto l’intera stagione
del fantastico inglese, cambiando radicalmente la storia del cinema. Ma Val Guest di film ne ha realizzati quasi cinquanta, e nel periodo d’oro ne faceva anche tre o quattro all’anno, perché era un sempio del perfetto director classico. Prendeva una storia e cercava di raccontarla nel miglior modo possibile. Fantascienza, avventura, poliziesco, commedia… Non faceva molta differenza.
Da giovane era stato anche attore, ma al cinema c’era arrivato dal giornalismo: anzi, dalla critica cinematografica. A vent’anni aveva stroncato ferocemente un film sul giornale, dicendo che la sceneggiatura era una schifezza. Il produttore si arrabbiò e chiamò il suo direttore. Val Guest, mandato a scusarsi col produttore, non solo ribadì che la sceneggiatura era pessima, ma lo convinse che lui era in grado di scriverne di migliori. E così cominciò la sua carriera di sceneggiatore alla Gainsbourough, lo studio dove lavorava anche Hitchcock, passando poi alla regia negli anni Quaranta.
La vera svolta avvenne però nel 1955. La Hammer era una piccola compagnia, specializzata in film di serie B che sfruttavano successi radiofonici e attori americani sul viale del tramonto, ma si trovava sull’orlo della bancarotta. Val Guest fu spedito a dirigere un filmetto ispirato a un telefilm di successo, L’astronave atomica del dottor Quatermass. Sembrava la solita routine e invece accadde il miracolo: uscito in piena estate 1955, quel piccolo film che raccontava in modo quasi cronachistico avvenimenti straordinari ebbe un successo strepitoso. La Hammer, che stava per chiudere, si gettò di colpo sul fantastico, cominciò a produrre i film su Frankenstein e Dracula interpretati da Peter Cushing e Christopher Lee, diventando sinonimo dell’horror per tutta una generazione di cinefili. E, dietro la Hammer, altri produttori sfruttarono il nuovo filone, dando origine alla grande stagione del fantastico inglese. Al punto che molti critici hanno poi ritenuto che la vera nouvelle vague britannica consistesse molto più in queste produzioni horror che negli esempi più impegnati e paludati di “free cinema”.
Quanto a Guest, fece subito un sequel: I vampiri dello spazio (1957). Il suo principio è sempre lo stesso: prendere una storia fantastica e raccontarla riprese in etserni reali, dialoghi taglienti, e insomma con quei modi che il realismo inglese solitamente riservava a storie molto più serie ed impegnate. Nei Vampiri dello spazio, l’invasione aliena viene addirittura raccontata da un punto di vista quasi burocratico, con un protagonista (l’americano Brian Donlevy) che resta in fondo una specie di capufficio puntiglioso e visionario, sempre pronto ad afferrare cappotto e cappello per andare ad affrontare gli extraterrestri. Il fascino
del film è affidato in buona parte alla fotografia grigia e ai tocchi di inquietudine sospesa, magari nel bel mezzo delle campagne inglesi, ma sotto sotto la vicenda alla “invasione degli ultracorpi” non permette equivoci: in Quatermass II i lavoratori devono imparare a smascherare i loro padroni, e se la fantascienza americana invitava a guardare il cielo (“keep watching the skies!”), questo film invita innanzitutto a controllare superiori e governanti. Al punto che molti lo considerano il vero modello di Essi vivono di Carpenter.
In quegli anni Val Guest ha realizzato anche buoni polizieschi, un piccolo cult (un po’ statico) come Il mostruoso uomo delle nevi (1957), fino a stravaganze come le scene di raccordo di 007 Casinò Royal, oppure Quando i dinosauri si mordevano la coda (da James G.Ballard) e Together, dove la musica beat di un complesso terrestre è in grado di guarire la sterilità degli alieni (!).
Ma il grande progetto della sua vita fu per molti anni E la terra prese fuoco, il film sulla Bomba che nessuno voleva produrgli e che alla fine riuscì a realizzare nel 1961, puntando ancora una volta su un minuzioso realismo quotidiano più che sulla spettacolarità catastrofica. Non si sentiva invece molto tagliato per l’horror gotico e sanguinolento: “Ho troppo senso dell’umorismo! Quando fai un film fantastico penso sia assolutamente necessario credere in quello che stai facendo: e questo può riuscire con la fantascienza, mentre è molto più difficile con un gotico puro!”.
Dedicarsi alla storia che raccontava cercando innanzitutto di renderla credibile era il suo principio fondamentale di regia. La concezione del fantastico che lo ha fatto passare alla storia è basata sui ritmi serrati di una quotidianità cronachistica più che sui sensazionalismi e sull’accesa visionarietà delle situazioni più estreme. E quando al Fantafestival di Roma gli chiesero di definire il
suo stile, Val Guest rispose: “Non so dire quale sia il mio stile. Posso dire cosa voglio: tengo molto alla validità della storia, e quando ho una buona storia cerco di rimanervi fedele e di renderla in immagini in modo che sia credibile. Se non si rispetta il soggetto, il film è condannato fin dal principio”.
La semplice lezione dei directors classici, insomma. Quelli che con umile applicazione professionale hanno creato il cinema come grande crogiolo di narrazioni e di miti.
(di Renato Venturelli)