Un film collettivo tutto dedicato alla maternità. Parla la regista dell’episodio genovese.
Abituata a metabolizzare le esperienze utilizzando il linguaggio del cinema, quando sono rimasta incinta ho cominciato a pensare a come lavorare su questo passaggio della vita che mi ha coinvolta come nessun altro prima. Ero incantata dalla metamorfosi del mio corpo, felice di non usare il cervello ma la pancia, di recuperare quella parte biologica della vita che mi sembrava ormai sepolta dall’esistenza così asettica che si conduce in città.
Come succede spesso nel nostro lavoro, confidando i miei progetti ad un’amica, la regista Chiara Cremaschi, scopro che lei ha già in cantiere un documentario sulla maternità e che sta meditando di renderlo un film collettivo. Detto, fatto. Nel giro di qualche mese il primo gruppo di donne si forma. Registe e filmaker di tutta Italia concentrate sullo stesso tema. La maternità. Ci incontriamo tutte a Torino, sotto la direzione dell’abile organizzatrice Lia Furxhi, e parliamo, ci conosciamo, mettiamo sul tavolo le nostre idee.
Il progetto prende forma. Ognuna di noi manifesta interesse per un argomento in particolare. Il film sarà composto da episodi e ognuna di noi ne dirigerà uno.
Per scegliere l’argomento da trattare io sono partita dal mio vissuto, dall’aver atteso tanto a lungo prima di decidere di avere un figlio, senza la consapevolezza che dopo una certa età diventa sempre più difficile. Mio figlio Martin è nato quando avevo quarantatre anni e io ho scelto naturalmente come territorio di indagine tutte quelle donne che come me, per tanti motivi, hanno sentito tardi il richiamo della maternità. Obiettivo del documentario, comunque, non è addentrarsi in complesse analisi psicologiche, ma piuttosto raccontare la nostra società oggi, partendo dalla constatazione dello scarto esistente tra i successi della medicina, i cambiamenti sociali e culturali della nostra epoca e i sentimenti del proprio vissuto, mettendo al centro della maternità non un astratto istinto materno, ma i percorsi intellettuali ed emotivi – talora difficili e dolorosi – di ognuna. Per questo motivo si cercherà di esplorare molti mondi: donne diverse per condizione sociale, professione, età, residenza.
A tutte le donne coinvolte nel film verranno proposte le stesse domande, partendo dalle loro aspettative e confrontandole con la realtà della condizione in atto. Verranno ripresi anche i luoghi delle donne e dei bambini: uffici, supermercati, ospedali, ludoteche, strade… Questo permetterà al racconto filmico di diventare un’unica partitura, un discorso complesso e vario, dove le voci sono le frasi e i luoghi sono le pause. Gli anni ‘70 sono ormai lontani e le prospettive dei collettivi militanti non rientrano in questo progetto, che vuole dare voce a tutte: le donne che hanno desiderato ardentemente un figlio, quelle che vivono con sofferenza la sua nascita e si colpevolizzano per non amarlo abbastanza, quelle che non l’hanno avuto e lo rimpiangono, quelle che vi hanno rinunciato consapevolmente, quelle che intraprendono il difficile cammino della fecondazione assistita e quelle “lontane da casa” che devono confrontarsi con il modello femminile della società occidentale.
“Son tutte belle le mamme del mondo” è un documentario al femminile non femminista. Cristiano Palozzi, mio compagno di lavoro e di vita, anche se in questa occasione non dirigerà il film con me, sarà comunque al mio fianco come direttore della fotografia.
(di Antonella Sica)
Regista e co-direttrice del Genova Film Festival