Raccontato nell’arco di un anno solare e cadenzato sullo scorrere delle stagioni (da “spring” a “winter”), Another Year è uno dei film più emblematici di Mike Leigh. Anche uno dei suoi migliori: per chiarezza narrativa, per precisione di sguardo sugli esseri umani, per piena consapevolezza estetica del linguaggio cinematografico.
Fedele a se stesso, Leigh parte ancora una volta dagli attori, dalla loro recitazione esibita in lunghi primi piani che sanno sopportare lo scorrere del tempo. Se il primato dell’attore sembra fare di Another Year un film televisivo-teatrale, a ben vedere però questo si rivela ben presto essere solo un’apparenza. Stando sempre molto addosso ai suoi personaggi, la cinepresa di Mike Leigh lascia che essi nascano direttamente dalla sintesi tra il recitare e il guardare, tra la realtà e la finzione, compiendo in questo senso un tragitto fondamentalmente opposto a quello privilegiato dalla maggior parte del cinema inglese iscrivibile nella cosiddetta “New Renaissance”, teso troppo sovente a utilizzare l’indiscussa bravura degli attori solo come un mezzo per illustrare, rendendoli accattivanti, personaggi già tutti dati sulla pagina scritta o comunque in una realtà pre-cinematografica.
Nei film di Leigh, e in particolare in questo suo ultimo, accade invece l’opposto: sono i personaggi, infatti, che nascono direttamente dalla recitazione degli attori, per conquistarsi proprio attraverso questa “finzione” lo statuto di una verità cinematografica, la quale sortisce proprio dalla progressiva sospensione dell’incredulità che più o meno consapevolmente accompagna ogni rappresentazione spettacolare della realtà. L’ingegnere geologo Tom e la psicologa Gerri, l’invadente amica Mary, il figlio Joe e la sua ragazza Katie, il compagno d’infanzia Ken e il fratello-cognato Ronnie, anche la depressa Janet – cioè, i protagonisti di un film che non ha mai fretta di farceli conoscere – non sono mai né momenti rubati alla vita, né semplici rispecchiamenti di virtù attoriali. Almeno non solo. Sono personaggi che non appartengono al neorealismo, ma neppure a un cinema di pura recitazione.
Se non fosse per la precisione così nitida e ben costruita, sembrerebbe quasi che quei personaggi nascessero dall’esperienza autobiografica degli attori stessi. Ma questa impressione di verità è il punto d’arrivo di Another Year, nel quale, non per caso, i molti primi piani contano altrettanto delle poche riprese in esterno (l’orto in cui Tom e Gerri trascorrono i loro week end, una trivellatrice in riva al mare, le strade o i portoni degli edifici di una periferia urbana), che concorrono a contestualizzare socialmente ed eticamente un film sovente anche molto divertente, insieme tragico e comico, malinconico e aperto al futuro: proprio come lo sono le stagioni e la vita stessa, nel loro scorrere quotidiano.
Another Year
(Gran Bretagna, 2010)
Regia e sceneggiatura: Mike Leigh
Fotografia: Dick Pope
Scenografia: Simon Beresford
Costumi: Jacqueline Durran
Musica: Gary Yershon
Montaggio: Jon Gregory
Interpreti: Jim Broadbent (Tom), Lesley Manville (Mary), Ruth Sheen (Gerri), Oliver Maltman (Joe), Karina Fernandez (Katie) – Peter Wight (Ken), David Bradley (Ronnie), Martin Savage (Carl), Imelda Staunton (Janet)
Distribuzione: BIM
Durata: due ore e 9 minuti